giovedì, 17 ottobre 2024
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Cornuda: la comunità si mobilita per l'accoglienza ai siriani giunti con i corridoi umanitari

La famiglia accolta è l’unica in Veneto giunta attraverso il sistema dei corridoi umanitari. Attorno a questa esperienza si sono coagulate la vitalità e l’impegno della comunità. Grazie ad un’associazione.

Per ora sono l’unica famiglia ad essere arrivata in Veneto attraverso i corridoi umanitari (e quindi avendo già ottenuto all’estero lo status di rifugiati) e forse anche per questo motivo, oltre che per la loro dolorosa storia, tendono a voler mantenere un “profilo basso”: nessuna occasione di polemica, mai prestato il fianco a critiche o demagogie, poche informazioni su di loro. Eppure attorno a questa esperienza si sono coagulate la vitalità e l’impegno della comunità di Cornuda che ha riscoperto - o piuttosto valorizzato - le tante belle sensibilità della gente e la vivacità dell’associazionismo.
Dalla martoriata Siria...
La famiglia, composta di padre, madre e una figlia adolescente, è siriana di Idlib, 120 mila abitanti prima dello scoppio della guerra, a nord ovest del Paese. Mentre venivano imbarcati dal Libano a metà dicembre su un aereo pagato con il progetto dei corridoi umanitari insieme ad altri richiedenti asilo di quella martoriata terra, direzione Fiumicino, in Italia leggevamo dai giornali che Assad, una volta puntellata la situazione ad Aleppo, si sarebbe spostato proprio su Idlib, dove è stato permesso ai ribelli di rifugiarsi, per poi morire sotto le bombe governative. La città è, di fatto, diventata una delle ultime roccaforti di Al Qaeda.
“Si tratta di una famiglia appartenente alla minoranza cristiana ortodossa della media borghesia, gestivano una attività commerciale propria - racconta Gianni Sardelli, il presidente dell’associazione di Cornuda «Un ponte verso» che li ha accolti -. Nel 2015 una bomba è caduta sopra la loro testa, il marito è rimasto ferito. Così hanno deciso di spostarsi in una vicina città, da parenti, dove comunque erano in corso numerosi raid russi”.
Loro non me lo dicono ma nel 2016 queste zone della Siria del nord, vicino alla Turchia, hanno subìto pesantemente la presenza dell’Isis con tutto ciò che ne consegue: restrizioni di ogni genere, vessazioni e violenze, decapitazioni in piazza. “Avevano un parente che da trent’anni viveva in Italia a Roma e che, per caso, ha sentito parlare dei corridoi umanitari dal Libano. L’alternativa, anche per loro, sarebbero stati i barconi della speranza lungo la via del Mediterraneo. E nelle condizioni peggiori dato che non avevano più soldi”. In un paio di mesi hanno avviato i documenti in ambasciata italiana a Beirut e la prima settimana di dicembre sono arrivati a Cornuda.
... Un ponte verso...
Qui hanno trovato l’accoglienza di una associazione che, costituitasi nell’ottobre dello scorso anno, si è fatta carico della loro sistemazione e di condividere insieme un progetto di inserimento: lingua italiana, lavoro, scuola, autonomia...
“Da diverso tempo tra amici ci chiedevamo cosa si poteva fare, data la complessità del problema migratorio - spiega Gianpiero De Bortoli tra i fondatori dell’associazione -. Abbiamo conosciuto e approfondito le diverse esperienze di accoglienza presenti nel territorio e ci siamo chiesti quale poteva essere per noi la formula più congeniale”. Un contesto di paese forse non avrebbe potuto offrire a giovani migranti le opportunità di inserimento che si trovano in centri più grandi. E la maggior parte dei volontari lavora, motivo per cui nemmeno l’accoglienza in casa appariva la soluzione migliore. “Abbiamo pensato che la presa in carico di una famiglia poteva essere più gestibile; condivisa l’idea con Sant’Egidio il resto è venuto da sé”. Da un gruppetto di pochi amici nel giro di qualche mese i volontari sono diventati più di 50, pensionati, insegnanti, gente “di chiesa” ed anche no. Costituire l’associazione è stato il modo di organizzare le tante energie e di gestire la parte economica dell’intera faccenda. Ad ottobre hanno trovato un appartamento, lo hanno ritinteggiato ed arredato (al solo costo della pittura), e da dicembre accompagnano questa famiglia: chi per i documenti da concludere, chi per le questioni ordinarie di spesa, chi nell’italiano. E chi “solo” per costruire relazioni di fraternità. L’organizzazione in base ai bisogni è affidata al potere dei gruppi di whatsapp.
“Ci siamo dati un tempo preciso per aiutarli a diventare autonomi - racconta Gianni Sardelli -. Se questa esperienza funziona penso potremmo aprirci a nuove disponibilità”.
... La comunità di Cornuda
L’associazione si autofinanzia; le persone cioè tirano fuori soldi dalle proprie tasche. In più la collaborazione con altre realtà del territorio permette di reperire risorse. “Siamo famiglie che accolgono una famiglia. Ciascuno di noi porta la ricchezza delle relazioni in cui è inserito, i legami e le possibilità, per costruire una rete che risolve, o perlomeno sopporta e prova ad alleggerire le fatiche. Questa esperienza ci sta permettendo di vivere la comunità, partendo dagli aspetti più pratici per condividere poi pensieri, valori, speranze”.
La figlia adolescente sogna di tornare a casa. Quando la guerra sarà finita vorrebbe rientrare. Lì ci sono ancora molti dei suoi amici, soprattutto i ventenni hanno un’età critica in tempi bellicosi. I genitori invece desiderano diventare autonomi, quanto prima. Sperano di imparare presto l’italiano e poi trovare lavoro. In segno di riconoscenza la moglie sta organizzando una cena per tutti i volontari. Cucina lei, piatti strettamente siriani.
Corridoi umanitari
Possono sembrare una goccia nell’oceano. Un migliaio di persone in tutto contro quasi un milione di arrivi in Europa nel 2015. Eppure i corridoi umanitari sono, ad oggi, lo strumento utilizzato per annullare all’origine l’immigrazione illegale ma soprattutto il rischio di traffico e di tratta di esseri umani. Avviati a gennaio del 2016 hanno dimostrato fin da subito, pur nelle loro dimensioni limitate, come in Italia ci sia una società civile avanzata in cui soggetti privati o del terzo settore si fanno sempre più carico di compiti che dovrebbero essere gestiti dagli stati.
Il progetto dei corridoi umanitari è stato concepito e realizzato, in origine, dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle chiese evangeliche e dalla Tavola Valdese grazie ai contributi dell’8 per mille, del 5 per mille e di donazioni private. Costo complessivo, poco meno di 2 milioni di euro. Nel 2016 era previsto il rilascio di mille visti ad altrettanti richiedenti asilo per venire in Italia e presentare domanda senza doversi sobbarcare il pericoloso e costoso viaggio in mare. I beneficiari sono stati identificati in appositi uffici aperti in Marocco e Libano, scelti tra le categorie più vulnerabili. A questi si è aggiunto, il mese scorso, un altro punto di raccordo in Etiopia grazie stavolta al contributo di Caritas italiana. “Il costo del trasporto e dell’accoglienza in Italia per il tempo in cui la richiesta di asilo sarà esaminata non peserà minimamente sullo stato” sottolineano gli organizzatori. Nonostante ciò non è apparso per nulla facile convincere il ministero dell’interno e degli esteri. “Per noi questo equivale a un accordo di pace, perché salva vite umane. Vogliamo porre fine ai barconi della morte” spiega il presidente di Sant’Egidio Marco Impagliazzo. Anche la Francia, la Polonia e la Svizzera si stanno muovendo per attivare la stessa esperienza.

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