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La fede dei "millennials"

Amano papa Francesco, ma fanno fatica a capire il linguaggio della Chiesa, conoscono poco Gesù ma credono in Dio. Questi i risultati della ricerca "Giovani e fede in Italia", promossa dall'istituto Giuseppe Toniolo. Emerge per la prima volta un quadro completo di che cosa rappresenti oggi la fede per i nati tra il 1982 e il 2000. Intervista alla curatrice, Paola Bignardi.

25/02/2016

Apprezzano Papa Francesco ma hanno difficoltà a capire il linguaggio della Chiesa, conoscono poco Gesù ma credono in Dio, anche se vanno poco a messa. E’ questo lo spaccato della generazione dei millennials (i nati tra il 1982 e il 2000) che emerge dalla ricerca “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia”, promossa nell’ambito del “Rapporto Giovani”, indagine realizzata dall’Istituto Toniolo in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo. Il report, confluito nel volume “Dio a modo mio” (Vita e Pensiero) a cura di Paola Bignardi e di Rita Bichi, è stato presentato la scorsa settimana a Milano.
L’approfondimento ha coinvolto 150 intervistati, scelti sulla base di criteri scientifici da un team di docenti universitari, distribuiti tra Nord, Centro e Sud Italia, tutti battezzati e appartenenti a due fasce di età (19 – 21 anni e 27-29 anni).
Molti hanno raccontato il percorso di iniziazione cristiana, mettendo in luce soprattutto la sua obbligatorietà. Frequentare il catechismo ha significato infatti l’apprendimento di regole e principi, e non è raro trovare chi critica questa attività perché la vede come una banale trasmissione di un sapere (“quello che dicono loro”) e una serie di regole da seguire. Per approfondire i contenuti del rapporto abbiamo intervistato una delle curatrici, la pedagogista Paola Bignardi, già presidente dell’Azione cattolica italiana.
“Dio a modo mio”… E’ sinonimo di relativismo e individualismo o nella definizione ci sono anche delle potenzialità positive, rispetto ai giovani?
I giovani di oggi – e non solo loro – sono figli di una cultura dell’individualismo che esaspera la soggettività e il rifiuto dell’autorità. Nel caso dell’esperienza religiosa questo significa anche desiderio di avere delle ragioni personali per credere, dentro percorsi che, pur essendo pieni di rischio, tuttavia contengono la possibilità di un rapporto con Dio più personale, più convinto, meno convenzionale e abitudinario. Certo, l’esasperazione di questo carattere porta con sé anche il rischio di una fede fai da te, costruita sulla propria misura e molto solitaria. Ma certo i giovani di oggi non sono increduli né ostile a Dio: occorre trovare strade nuove che realizzano incontri autentici con Lui.
Perché sentono la Chiesa così distante?
La mentalità dei giovani è molto refrattaria all’istituzione. E’ un dato che riguarda tutte le realtà istituzionali, ed è particolarmente marcata nei riguardi di quelle politiche. La Chiesa non è esclusa da questo atteggiamento di sfiducia con una conseguente presa di distanza. Occorre anche dire che la comunità cristiana, con le sue strutture, i suoi linguaggi, talvolta la freddezza della sua organizzazione non favorisce la partecipazione dei giovani e il loro coinvolgimento nelle sue proposte e nella sua esperienza.
In che modo la figura di papa Francesco può essere oggi per la Chiesa una chance positiva?
Paradossalmente, proprio la figura più istituzionale della Chiesa è quella che viene percepita come più credibile. Il linguaggio informale e pieno di vita, la semplicità, la testimonianza che Papa Francesco dà soprattutto riguardo ad alcuni aspetti cui i giovani sono più sensibili, come la pace, il dialogo con tutti fanno sì che i giovani si sentano interpretati da lui. In fondo, lo stile di papa Francesco indica anche la strada per tornare a costruire una comunicazione con la generazione dei millenials.
C’è per associazioni, gruppi, parrocchie, una possibilità di approccio? Quale?
Credo che la possibilità di un nuovo incontro tra le realtà ecclesiali e il mondo giovanile debba partire dall’ascolto, dalla disponibilità a lasciarsi interpellare dalle domande dei giovani, dalla loro sensibilità, dalle loro provocazioni. Le proposte formative devono percorrere la via della concretezza, dell’esperienza che genera appartenenza, disposti a dare ai giovani responsabilità e protagonismo. E poi bisogna affiancarsi a loro come compagni di viaggi, senza avere la pretesa di essere dei maestri, ma con il rigore di una testimonianza di vita che osa mettersi in gioco sugli aspetti più radicali del messaggio evangelico, quale quello della vicinanza ai poveri, del dialogo con tutti, della compassione verso chi soffre. Non per nulla, dalle interviste condotte per realizzare la ricerca la figura che i giovani sentono più vicina è quella di Madre Teresa.

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