venerdì, 17 maggio 2024
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Libertà di stampa, per il giornalista Giulietti il quadro è preoccupante

Il 3 maggio è la Giornata mondiale istituita dall’Onu, abbiamo intervistato il presidente della Federazione nazionale stampa italiana: “La mediazione di un buon giornalismo è fondamentale, serve coltivare il pensiero critico”

Si celebra in tutto il mondo (o almeno nei Paesi democratici) il 3 maggio di ogni anno: è la Giornata della libertà di stampa, istituita nel 1993 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Se una tale giornata è stata istituita, evidentemente, è perché la libertà di espressione e di informazione non possono essere date per scontate, neppure nel nostro Paese. Ne parliamo con Giuseppe Giulietti, giornalista, già presidente della Federazione nazionale della stampa italiana e segretario dell’Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai), tra i fondatori dell’associazione Articolo 21, liberi di....

Giulietti, l’articolo 21 della Costituzione italiana è quello che afferma per ogni cittadino il principio della libertà di manifestazione del pensiero. Com’è la situazione oggi in Italia?

Guardi, con una battuta potrei dirle che per la libertà di stampa l’Italia assomiglia sempre di più all’Ungheria, è non è certo un dato rassicurante. Attualmente abbiamo, nel nostro Paese, 27 giornalisti sotto scorta, per minacce gravi ricevute a causa del loro lavoro di inchiesta, il numero più alto in Europa. Tra questi, vorrei ricordare Mimmo Rubio che si è messo contro la Camorra, Nello Scavo di Avvenire, che è andato a fondo sugli interessi dei trafficanti libici di esseri umani, e Paolo Berizzi, unico caso in Europa di giornalista aggredito da neonazisti, neppure in Germania era successo un fatto del genere. Su 27 Paesi che compongono l’Europa, l’Italia è al 22° posto per libertà di stampa.

Le minacce e le aggressioni ai giornalisti non sono però l’unico elemento che porta l’Italia così in basso nella classifica europea...

Esatto, l’Italia ha due altri grossi problemi che, tra le altre cose, si riflettono su una limitazione pesante dell’effettiva libertà di espressione a mezzo stampa e di informazione per tutti i cittadini. Mi riferisco al conflitto di interesse e all’antitrust, due situazioni gravi, che allo stato attuale non sono nel nostro Paese debitamente normate. Proprio in queste settimane, il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva il Media freedom act, un Regolamento che sancisce e protegge la libertà dei media e dei giornalisti dell’Unione europea da ingerenze politiche o economiche. Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti al momento della votazione, ed evidentemente non è un caso, perché, quando recepita, tale legislazione europea andrà a sottrarre il sistema di informazione pubblica dalle ingerenze della politica, e del Governo in particolare.

A proposito di Rai, anche il cittadino medio si è reso conto ultimamente di alcune dinamiche che quantomeno danno da pensare. Che cosa sta succedendo in viale Mazzini?

Il problema non è nuovo, tutti i Governi, di qualunque colore, hanno sempre esercitato una forma di controllo sul servizio pubblica, nella nomina dei vertici e anche, in alcuni casi nell’allontanamento di giornalisti non graditi. A suo tempo, causò grande indignazione, ad esempio, l’allontamento di Enzo Biagi da parte di Berlusconi. Ma ricordiamo che la legge che attualmente regolamenta il servizio pubblico televisivo in Italia, sottoponendolo, di fatto, a una pesante forma di controllo da parte della politica, venne firmata dal Governo Renzi, nel 2015. Certo che oggi le pressioni si sono fatte molto più frequenti, pesanti e sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi mesi la Rai ha allontanato i suoi pezzi migliori, per ragioni di natura economica è stato detto, ma probabilmente perché non graditi per le loro posizioni culturali, sociali o politiche. Ci sono alcuni temi, come ad esempio la pace e i migranti, cari al mondo cattolico, di cui è sempre più difficile parlare in un certo modo. Si vuol far prevalere la narrazione della paura e la retorica della necessità di avere un capo, un leader forte che ci protegga, anche a costo di limitare la nostra libertà. Alle ingerenze della politica si aggiungono, poi, quelle del mondo economico. In Italia, gli editori sono persone o gruppi di persone che hanno spesso altri interessi, si occupano di aziende farmaceutiche, autostrade, industrie. Il tentativo in atto di cedere l’Agi, agenzia di stampa finora di proprietà dell’Eni, ad Angelucci, politico, imprenditore e già proprietario di tre testate nazionali, è da questo punto di vista davvero emblematico del clima generale e degli interessi enormi che girano attorno ai media italiani.

Questo ci porta a parlare dell’altro problema, quello della fatica di contrastare le forme di trust e fondi fiduciari.

Anche a causa dei gravi problemi economici che toccano il settore dei media, in Italia si assiste a una drammatica riduzione del numero delle testate giornalistiche che risultano, inoltre, sempre più concentrate nelle mani di pochi editori. Si pensi a quello che sta succedendo anche in Veneto con la creazione del gruppo Nem (Nord est multimedia), dove dietro ci sono banche, finanziarie e i maggiori imprenditori del territorio. Non si fatica a immaginare come tali raggruppamenti non giovino certo al pluralismo dell’informazione, e, dunque ,alla libertà di stampa.

In tutto questo, cosa può fare il singolo cittadino?

Coltivare il pensiero critico. E per farlo occorre ascoltare una pluralità di voci e di fonti, diffidando di chi urla in modo aggressivo e usa il turpiloquio anziché le capacità argomentative. Bisogna fare lo sforzo di capire, contestualizzando sempre le notizie. Per questo la mediazione di un buon giornalismo, libero da ingerenze politiche ed economiche, è fondamentale. Ne parleremo anche all’Arena di Verona il 18 maggio con il Papa, è davvero una questione fondamentale, per la pace e per la democrazia.

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