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Mons. Daniele Liessi, da Buenos Aires, spiega il saluto dei concittadini al “loro” Papa

Il sacerdote diocesano presta servizio in Nunziatura: “In cattedrale, una fila continua di fedeli, è stato un tributo corale”
30/04/2025

Come fosse morto uno di famiglia. La popolazione dell’Argentina, e, in particolare, di Buenos Aires, tantissimi fedeli, e poi i sacerdoti e i vescovi, tutti hanno espresso il proprio affetto per “il loro Papa”. A raccontarcelo, proprio dalla capitale dell’Argentina, dove è consigliere di Nunziatura, è mons. Daniele Liessi, nostro sacerdote diocesano, originario di San Michele di Piave.

“Una cosa grande - spiega -. Per certi aspetti, è stato un privilegio poter vivere qui nei giorni che hanno fatto seguito alla morte di papa Bergoglio, perché, davvero, il popolo argentino ha trasmesso un grande affetto verso il Papa, sentito come un fratello, proprio come uno di casa. Si è trattato di un tributo corale, anche da parte di coloro che erano meno vicini a papa Francesco, anche di coloro che erano critici. C’è stato un comune apprezzamento per la vicinanza del Papa ai più poveri, per l’impegno per la giustizia sociale, un omaggio all’argentino più grande, anche più di Maradona e Messi”.

Mons. Liessi ha visto con i suoi occhi questo grande tributo popolare, durante le celebrazioni che si sono svolte in questi giorni, e, soprattutto, in occasione della messa di sabato scorso, nella centralissima plaza de Mayo, davanti alla cattedrale e a pochi passi dal palazzo presidenziale, noto come “Casa rosada”. “C’erano, almeno, ventimila persone, hanno concelebrato oltre dieci vescovi e circa trecento preti. Un abbraccio corale, che non è, però, rimasto isolato. Nei giorni precedenti, verso la cattedrale, c’è stata una fila continua per venire a pregare, in continuità ideale con quella che c’era a San Pietro. Molti firmavano il libro di condoglianze. Sempre in cattedrale, c’erano quattro messe al giorno, sempre con la chiesa piena di fedeli”.

Tra i più commossi, proprio i vescovi, a partire dall’arcivescovo di Buenos Aires, mons. Jorge Ignacio García Cuerva, che è scoppiato a piangere durante la messa. “Da parte di tutti i vescovi - spiega il consigliere di Nunziatura - c’era una conoscenza diretta con papa Francesco, si sentivano amati e apprezzati. I vescovi ne apprezzavano la prossimità, la vicinanza, verso di loro, ma soprattutto verso i più poveri”.

Non a caso, i luoghi di Buenos Aires più amati dal Papa erano le cosiddette “villas miserias”, i quartieri della sterminata periferia della capitale, presidiati dalla Chiesa attraverso la presenza dei cosiddetti “curas villeros”, i preti delle periferie. “Confermo - dice mons. Liessi - che questo tipo di pastorale è stata supportata in tutti i modi dall’arcivescovo Bergoglio, e poi anche come Papa”.

Resta, in molti argentini, il rammarico di non aver potuto abbracciare direttamente papa Francesco in Argentina, dopo la sua elezione: “Qualcuno si è sentito frustrato, davvero non conosco le valutazioni che ha fatto il Papa, se non il fatto che avrebbe desiderato questo viaggio, nel settembre 2023 se ne parlava diffusamente. Ma sono certo che il Papa si è portato l’Argentina sempre con sé”.

Ora, cosa rimarrà? “Il Papa ha gettato tanti semi, di pace, giustizia, dialogo, attenzione agli ultimi. Stanno già dando frutti, e ne daranno altri. Questo vale, naturalmente per tutto il mondo, e particolarmente per l’Argentina, dove si parla spesso della cosiddetta «grieta», della frattura sociale e politica che qui è fortissima. Dentro a queste logiche, il Papa è stato criticato, e anche strumentalizzato. Non faceva politica, ma promuoveva quei valori di pace e dialogo, decisivi per ricomporre questa «grieta».

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