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Perché l'Avvento faccia rinascere la speranza

Questo “anno A” della liturgia sarà caratterizzato dalla lettura quasi continua del vangelo di Matteo, quello in cui viene maggiormente evidenziata l’attuazione e la realizzazione in Gesù delle attese del popolo ebreo e delle promesse di Dio

25/11/2016

Con la prima domenica di Avvento inizia il nuovo anno liturgico durante il quale Cristo si fa incontro a noi per ricolmarci della grazia sprigionata dai santi misteri che la chiesa celebra, facendo di essi memoria viva ed efficace. Viene denominato “anno A” e sarà caratterizzato dalla lettura quasi continua del vangelo di Matteo, quello in cui viene maggiormente evidenziata l’attuazione e la realizzazione in Gesù delle attese del popolo ebreo e delle promesse di Dio.

L’Avvento, per sua indole, è un tempo di preparazione alla celebrazione memoriale della nascita di Gesù nella carne e, al tempo stesso, al suo ritorno alla fine dei tempi. Per questo motivo viene anche considerato un tempo di attesa e di speranza. Su questo versante, si può anche dire che l’Avvento ha una forte valenza antropologica, nel senso che evidenzia, grazie alla parola di Dio, una dimensione essenziale dell’esistenza umana. Esso, infatti, intercetta l’esigenza e il desiderio dell’uomo che le sue attese e le conseguenti speranze, non vengano frustrate o deluse, perché questo potrebbe arrecare pregiudizio alla fiducia nel futuro e, quindi, alla possibilità di un reale riscatto o liberazione da situazioni che stanno appesantendo e minando la vita nel suo bisogno di senso.

Sappiamo bene come esperienze negative e delusioni, derivanti da attese deluse e da sogni infranti, possono incidere in modo significativo nell’adulto e ancor più in un giovane, fino a portarli ad un ripiegamento su se stessi e ad una sfiducia profonda verso un futuro e un mondo che intravedono sempre più opachi, se non addirittura ostili.

Il tempo di Avvento, con la sua carica anche umana di fiducia e di speranza, può passare accanto a tante persone senza nemmeno sfiorarle, o perché sono deluse da tutto e da tutti, o perché hanno rinunciato ad ogni progettualità per la loro vita, o perché pensano il loro futuro senza misurarsi con la realtà e le possibilità e capacità di realizzarlo.
Questo ci fa dire che la situazione esistenziale di una persona, soprattutto l’eclissarsi in essa di ogni progettualità che la spinga a guardare verso un futuro promettente, può condizionare molto la recezione del messaggio liturgico e la sua significatività per la vita. I messaggi, per quanto alti e sublimi siano, difficilmente verranno accolti e compresi se colui che annuncia o celebra non tiene conto della vita degli uomini; se non dispone dei “codici” che gli consentono di sintonizzarsi con il vissuto di chi ascolta.
La strada seguita da Gesù. Predicare sull’Avvento prescindendo dalle situazioni umane, sempre più frequenti e dolorose, di precarietà e povertà, di sfiducia nella società e nella volontà di prossimità degli altri, sarebbe pericoloso perché indurrebbe ancora una volta a pensare che la fede e la celebrazione dei misteri di Cristo abbiano poco a che vedere con la vita reale della gente. Non è certo questo il metodo e lo stile di Gesù nell’annunciare l’avvento del regno di Dio e nel suscitare la speranza nel popolo. In lui, infatti, le parole e i messaggi erano sempre attenti al vissuto delle persone e venivano accompagnati da opere di misericordia e da segni di liberazione: “sono venuto a liberare i prigionieri, guarire i ciechi… e proclamare un anno di grazia”.
Le folle lo seguivano perché si sentivano intercettate nella loro vita reale e interpretate nelle loro attese. Questo vale anche per oggi. L’uomo contemporaneo può anche rimanere refrattario alla grazia che sprigionano la parola di Dio e il mistero celebrato se noi credenti e comunità cristiane non li rendiamo più comprensibili e credibili con gesti e opere di carità e di misericordia, con azioni capaci di intercettare il bisogno di fiducia, di speranza e di liberazione di tanti uomini e donne.
E questo è possibile, come ha ribadito il Papa alla chiusura della porta santa, se la chiesa, e qualunque comunità cristiana, ritorna all’essenziale e riscopre che la sua bellezza e il suo fascino stanno nell’essere “accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca dell’amore, missionaria” e che il perdono e la misericordia rimangono i segni più visibili dell’amore del Padre per ogni uomo.

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