martedì, 19 novembre 2024
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Treviso, centro storico: cosa c'è sotto quelle piante

Togliere le fioriere e le piante in alcune zone del centro storico per contrastare lo spaccio e il degrado: ecco la proposta del nuovo sindaco Conte e le polemiche non si fanno attendere. Fabio Tesser, operatore di strada: “Noi nella zona di ponte San Martino ci viviamo e lì stiamo con i ragazzi, li conosciamo. Togliere le fioriere è fare qualcosa senza capire il problema".

Togliere le fioriere per contrastare lo spaccio e il degrado in alcune zone del centro storico: la ricetta proposta dal sindaco Mario Conte riporta indietro con la memoria agli editti di Gentilini che hanno bandito per decenni le panchine dalla città.
L’apparenza contro la sostanza, il gesto plateale contro il lavoro quotidiano. Un atteggiamento che a chi opera nel sociale appare inconsistente rispetto a un problema reale che è quello dei giovani che hanno a che fare con difficoltà e dipendenze e che avrebbero bisogno di ascolto, comprensione e della presenza di adulti di cui fidarsi e a cui chiedere aiuto, più che di operazioni simboliche che non cambiano la sostanza della situazione.
Capire il problema
Ne abbiamo parlato con Fabio Tesser, operatore di strada ed educatore della cooperativa La Esse, che con i ragazzi che vivono il centro storico ha a che fare quotidianamente.
“Noi nella zona di ponte San Martino ci viviamo - ha raccontato Tesser - e lì stiamo con i ragazzi, li conosciamo. Togliere le fioriere è fare qualcosa senza capire il problema, le sostanze di cui abusano non sono nemmeno quelle che si trovano nascoste nelle fioriere, ma altre, come anche l’alcool, un ulteriore problema che non si risolve impedendone la vendita in un supermercato. Inoltre lo spaccio non avviene solo in centro, così il problema si sposta e basta.
Lo spazio a San Martino è aperto tutti i martedì e sono proprio i ragazzi a venire a chiederci di poter fare qualcosa, un paio di mesi fa, ad esempio, hanno ripulito di loro spontanea volontà la chiesa dalle scritte. Se c’è un adulto che fa da punto di riferimento, sono loro stessi a mettersi in moto”.
Di giovani, gli operatori di strada ne incontrano tanti: sono quasi mille quelli avvicinati nell’ultimo anno, senza contare i ragazzi con cui entrano in contatto attraverso i progetti nelle scuole superiori come avviene al Canova o al Turazza, dove gli educatori diventano professori e fanno lezione curricolare durante tutto l’anno scolastico. Con almeno cinquecento ragazzi, tra i 15 e i 20 anni, si è instaurata una relazione che li ha portati a ricevere sostegno e ascolto e che li coinvolge in laboratori e attività.
Sono almeno un paio le famiglie che ogni settimana, non sapendo a chi rivolgersi, cercano aiuto a San Martino, per ricevere supporto e consigli per i loro ragazzi.
Un’età difficile, quella dell’adolescenza, che, oltretutto, è chiamata dai Servizi “zona grigia”, perché i ragazzi si trovano in quell’età di mezzo in cui per loro è difficile trovare una collocazione, anche a livello di supporto sanitario e assistenziale. Inoltre, solo il 30/40% di loro vive effettivamente nel comune di Treviso, gli altri arrivano da fuori, magari perché frequentano le scuole del Capoluogo, il che rende ancora più difficile delineare una competenza per i Servizi sociali.
Chiedono spazi
“Il punto è: cosa c’è in città per i ragazzi di questa fascia d’età che hanno un disagio? – ha continuato Tesser –. Sono loro che ci chiedono uno spazio, non solo un luogo dove svolgere attività, ma un ambiente in cui esprimersi liberamente accompagnati da un adulto che li ascolti. Lavorare con loro significa fare prevenzione, ma poi la presa in carico spetta ai Servizi sociali, questi Servizi sono adeguati? Le forze dell’ordine e le scuole sono preparate? Conoscono i ragazzi e i problemi reali che affrontano? Per esempio, non è la marijuana la sostanza di cui fanno più uso. Bisogna essere presenti per leggere e raccogliere le informazioni che i ragazzi mandano. Servono Servizi meno rigidi, che instaurino relazioni prima di tutto, devono destrutturarsi e riformarsi. Le associazioni devono svecchiarsi per dare un’offerta che possa allettare davvero. Ed è necessario coinvolgere i giovani nella progettazione delle attività a loro dedicate, per dare loro competenza, valorizzarne le capacità e creare un territorio in cui si vive bene”.
Gli operatori di strada e la cooperativa La Esse lavorano in rete con il Progetto giovani del Comune e con diverse realtà del territorio. Fanno prevenzione nelle scuole, in modo da creare relazioni di fiducia per cui in caso di difficoltà sia più semplice intervenire a sostegno di un ragazzo risultando credibili. Hanno supportato la formazione degli animatori del Grest di Santa Bona, elaborano progetti e tavoli di lavoro dedicati ai ragazzi, collaborano con realtà simili delle altre province per coordinare le azioni con i giovani che si spostano su un territorio che va oltre quello del trevigiano.
Manuela Mazzariol

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