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I giorni amari di Borso

Intervista al professor Zilio Ziliotto sulla commemorazione a ottant’anni dal rastrellamento sul Grappa

Quella mattina, mentre i soldati tedeschi e gli uomini della Repubblica sociale italiana spingevano anziani, donne e bambini nel centro della piazza di Borso del Grappa, c’era anche lui, in qualche modo. La madre di Zilio Ziliotto fu tirata fuori di casa e portata in piazza senza alcuna pietà, nonostante fosse incinta. Risparmiarono solo la nonna, che non poteva camminare.

Il terrore nella Pedemontana era iniziato la sera del 21 settembre 1944, un mercoledì, quando in tutti i paesi del Massiccio arrivarono le autoblindo della Wehrmacht, delle SS e della Rsi. Forse diecimila uomini, con il compito di sradicare da Cima Grappa un migliaio di uomini ormai diventati tutti partigiani: ex ufficiali dell'esercito regio, soldati, renitenti alla leva, che da mesi danneggiavano le retrovie tedesche, impegnate sulla Linea gotica, e soprattutto costituivano un grande fastidio in caso di ritirata tedesca.

Sono passati ottant'anni da quei giorni tremendi, quando quasi 300 uomini furono uccisi: impiccati, fucilati e falciati in combattimento.

L’enorme disparità di forze in campo non lasciò mai dubbi sull’esito della battaglia, nonostante gli uomini si fossero asserragliati su quel monte che nel 1917 e 1918 aveva fatto la gloria d’Italia.

Il prossimo 22 settembre alle 10, al monumento del partigiano, realizzato dall'artista Augusto Murer nel 1974, si terrà la commemorazione dei caduti, nell’ottantesimo anniversario del rastrellamento. L’orazione ufficiale è stata affidata al professor Francesco Tessarolo.

Zilio, insieme al professor Francesco Celotto, ha scritto un testo intitolato “I giorni amari di Borso del Grappa”.

Professore Zilio, come nasce l’idea di una resistenza sul Monte Grappa?

Dopo l’8 settembre 1943, le alture, le malghe, le grotte diventarono prima rifugio per chi era ricercato dai nazifascisti, ma anche per i renitenti alla leva, per chi non voleva più impegnarsi in una guerra ormai perduta. Questo gruppo di uomini si organizzò, poi, sotto il comando di Angelo Pasini e cominciò a danneggiare ferrovie e strade indispensabili all’esercito tedesco. Gli alleati, e in particolare gli inglesi, incoraggiarono questo tentativo; vennero paracadutate armi e munizioni, e sul Grappa arrivò anche il maggiore Harold William “Bill” Tilman per dare istruzioni. Se avessero ceduto la Linea gotica, i tedeschi avrebbero dovuto velocemente arretrare e stabilire una linea di difesa che passava anche sul Grappa. Era impossibile tollerare “fastidi” in quell’area.

Un rastrellamento crudele?

Senza pietà. Abbiamo tutti negli occhi l’immagine degli impiccati a Bassano del Grappa; il più giovane aveva 16 anni. Ma impiccagioni avvennero in tutte le piazze dei paesi del Grappa. Vennero fucilati anche tre prigionieri inglesi. Molti riuscirono a eludere l’accerchiamento calandosi lungo i dirupi o rifugiandosi in grotte sconosciute. Pasini, a un certo punto, diede il “si salvi chi può”. Le operazioni si conclusero il 28 settembre 1944.

I nazifascisti ebbero anche delle connivenze con la popolazione locale?

Qualcosa ci fu. Ci furono situazioni molto diverse. A un certo punto venne fatto credere che chi si consegnava avrebbe avuto salva la vita, ma invece furono presi per essere deportati. Molti furono mandati a lavorare in Germania, dove subirono terribili vessazioni. A Borso, di questi deportati, dopo la guerra ne tornò uno solo. Perillo, il comandante delle truppe della Rsi a Bassano del Grappa, fu senza pietà; probabilmente una sua segretaria riuscì anche a infiltrarsi tra i partigiani e a dare informazioni preziose.

Le ferite rimasero aperte?

Le situazioni sono molto diverse da paese a paese. Certo è che i primi sindaci nominati dal Comitato di liberazione veneto alla liberazione durarono poco e, soprattutto a sud, verso Castelfranco, presero l’amministrazione forze talvolta ostili ai partigiani. Sui numeri di questo rastrellamento si sta ancora lavorando; se ne è occupato anche recentemente il professor Lorenzo Capovilla. (Nel 2008 Capovilla scrive: “Dopo due giorni di combattimento, su circa un migliaio di partigiani attestati sul Grappa, almeno 300 caddero negli scontri, 171 furono fucilati o impiccati. Quasi 400, tra quelli arrestati nel rastrellamento, vennero deportati in Germania, e di essi due terzi non fecero più ritorno alla fine del conflitto”).

I conti, però, si devono ancora fare con precisione, ma soprattutto si devono fare i conti con la memoria e con le nuove generazioni, che conoscono poco questa pagina di storia locale che ha contribuito alla nascita della democrazia italiana.

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