Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Pio X: l’enciclica “lacrimabili statu” sugli indigeni fu un testo illuminato
Era il 1912, 108 anni prima dell’esortazione apostolica Querida Amazonia di papa Francesco. Pio X scrisse una lettera enciclica, la Lacrimabili statu, che era una precisa e circostanziata denuncia della situazione inaccettabile in cui erano costrette a vivere le popolazioni indigene dell’America Latina, e in particolare dell’Amazzonia. Un testo anticipatore, che mostrava il “cuore pastorale” di papa Sarto, capace di dilatarsi a tutto il mondo e a situazioni inedite, arrivando implicitamente a parlare di “diritti umani”. Sull’importanza di quel testo, abbiamo intervistato padre Vantuy Neto, cancelliere vescovile nella diocesi di Roraima, e insegnante di Storia dell’Amazzonia. Ci risponde mentre è a colloquio con don Edy Savietto, missionario fidei donum della nostra diocesi, proprio nel Roraima. Un “ponte” tra due diocesi che avviene anche nel nome di san Pio X.
Qual è l’importanza del testo di Pio X di oltre 100 anni fa? Cosa ha rappresentato per le popolazioni indigene?
L’enciclica del Papa è un documento che deriva dalle precise denunce dei missionari dell’epoca, proprio, particolarmente, dalla zona di Roraima, dove erano presenti i benedettini, in un contesto in cui gli indigeni venivano trattati con grande violenza. Altre notizie provenivano dall’Amazzonia peruviana. L’enciclica riprende quasi letteralmente le notizie che arrivavano da queste zone. Ricordo che la zona panamazzonica è quella in cui anche oggi si trova la maggiore diversità di etnie indigene del mondo. In questa grande regione, si visse una grande “invasione per motivi economici”, a cavallo tra il 19° e il 20° secolo. Questo, soprattutto, a causa della ricchezza di caucciù, la “gomma”. L’Amazzonia era considerata un “inferno”, veniva chiamata “inferno verde”. Si temevano la peste, le febbri, le epidemie, ma proprio qui venne scoperta la gomma. L’Amazzonia, improvvisamente, si rivelò al mondo per la sua potenzialità economica. Evidentemente, le notizie arrivarono in Vaticano, che iniziò a esercitare la sua attenzione spirituale su queste regioni. Già Leone XIII aveva diviso la regione amazzonica in due giurisdizioni ecclesiali, Belém e Manaus, e coinvolse in questa grande opera di evangelizzazione molti ordini e congregazioni, tra cui i domenicani, i saveriani, i benedettini, i francescani, i gesuiti, ecc. L’enciclica è, appunto, frutto di queste informazioni, mentre in Europa prevaleva una cultura “positivista”, secondo la quale i popoli europei portavano un “di più”, un progresso, rispetto a popoli ritenuti primitivi. I missionari trovarono indigeni che venivano maltrattati anche dagli stessi cristiani. Quindi, il boom economico e le popolazioni sterminate, che da maggioranza erano arrivate a essere minoranza, sono i due punti trattati nella Lacrimabili statu, a cui va aggiunta la denuncia di papa Pio X per le violenze che queste popolazioni continuavano a subire. Va considerato che le popolazioni originarie erano circa 5 milioni di persone, ed erano scese a sole seimila, nella zona brasiliana.
L’enciclica di Pio X parla dei resoconti dei missionari. Quanto la loro azione e i loro scritti sono stati importanti nel corso dei decenni?
L’enciclica creò una speciale coscienza sulle popolazioni native e sul ruolo dei missionari. La prima cosa molto chiara è che i missionari, nella loro opera di evangelizzazione, non si trovarono per nulla d’accordo con le pratiche violente contro le popolazioni originarie. In secondo luogo, era forte da parte loro la preoccupazione che gli indigeni non venissero trattati come una razza inferiore. I benedettini di Roraima parlano di una pratica attraverso la quale venivano marchiati con un ferro incandescente, come fossero delle bestie. Ciò viene riportato con chiarezza nell’enciclica. Un altro punto riguarda i diritti degli indigeni rispetto alle loro terre e alla loro conduzione. Questa enciclica anticipa una nozione, quella di diritti umani e di diritti delle popolazioni indigene, che emergeranno con chiarezza sessant’anni dopo. Possiamo davvero dire che si tratta di una lettera illuminata, ispirata. La lettera rivela un aspetto di papa Pio X, non molto conosciuto, questa attenzione a quelli che saranno chiamati diritti umani, e sottolinea che l’evangelizzazione non può avvenire senza il passaggio da una condizione meno umana a una più umana. Inoltre, il Papa dava facoltà ai vescovi di agire contro queste violenze.
Ancora oggi il testo di Pio X è conosciuto in Brasile?
L’enciclica non fu molto conosciuta in Brasile: era scritta in latino, le notizie circolavano lentamente... Ma qui in Roraima, il vescovo del tempo la pubblicò e la diffuse in tutta la prelatura. In quel periodo, i benedettini si posero contro i fazenderos, i grandi proprietari terrieri, che scatenarono una persecuzione anche contro di loro. Negli archivi ci sono tante testimonianze di questi attacchi dei fazenderos ai missionari. Quindi, possiamo dire che in un primo momento la lettera non fu molto conosciuta, ma essa venne “vissuta” dai missionari del tempo.
C’è continuità tra l’enciclica di San Pio X e il magistero di papa Francesco?
E’ interessante che i benedettini proposero di creare un territorio indigeno, nel 1912. Da qui, si vede una certa continuità. Si può parlare non solo di continuità, ma anche di qualcosa che si è realizzato rispetto alle indicazioni date dal Papa.
Si può parlare anche oggi di “situazione lacrimevole” a proposito delle popolazioni indigene? Quali le maggiori sfide ancora aperte?
Non c’è dubbio che quell’enciclica è estremamente attuale. Proprio una settimana fa la Corte suprema del Brasile si è espressa contro il “marco temporal”, la legge che cercava di strappare agli indigeni i loro territori. Il documento di Pio X parla di diritto degli indigeni a possedere la propria terra, e ancora oggi ciò viene messo in questione. Quindi, mi pare evidente che l’enciclica è molto, molto attuale. Durante il Sinodo dell’Amazzonia è risuonato il diritto dei popoli indigeni al territorio, alla propria cultura. In quell’occasione, è stata sottolineata la tradizione mistica e spirituale custodita da questi popoli, una pluralità di cammini che portano a Dio. Potremmo dire che oggi qui i cristiani hanno due cammini nel processo di evangelizzazione: un primo cammino riguarda chi aveva già ricevuto l’evangelizzazione, e qui è richiesto un grande processo di inculturazione. Papa Francesco parla di “santità amazzonica”, che la Chiesa è chiamata a custodire e valorizzare. Il secondo cammino è il dialogo con quelle popolazioni che non conoscono ancora il messaggio cristiano. Ci sono ancora oltre cento popolazioni definite “isolate”, “non contattate”. Come cristiani, siamo interpellati su come annunciare il Vangelo anche a queste popolazioni. Il cristianesimo è una religione che annuncia la salvezza. Il Verbo incarnato mostra una possibilità per arrivare a Dio, possiamo ritenere che Dio abbia pensato a dei cammini particolari per avvicinarsi a essi. Oggi, la novità grande è che salvare i cammini spirituali ancestrali di questi popoli è già di per sé una “buona notizia”, già questo è un compito per la Chiesa.