Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Vade retro carbonio
“Come persone di fede, crediamo che affrontare la crisi climatica non sia solo una necessità scientifica, ma un profondo obbligo morale radicato nei valori cristiani di giustizia e compassione. Esortiamo le nazioni sviluppate a dare il buon esempio, riconoscendo la loro responsabilità storica e sostenendo una risposta globale che soddisfi le esigenze dei più vulnerabili, onorando la creazione di Dio e mantenendo il nostro impegno a prenderci cura gli uni degli altri”. E’ l’appello del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc), rivolto ai leader mondiali riuniti a Baku, in Azerbaigian, per la Cop29, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è aperta lunedì 11 e si concluderà il 22 novembre. A Baku, è presente una delegazione del Wcc, che sta lavorando a stretto contatto con partner religiosi e della società civile.
Alla Cop29, il Wcc chiede alle Nazioni sviluppate di “ridurre drasticamente le emissioni di combustibili fossili”. L’organismo ecumenico sottolinea, inoltre, “l’urgenza di un aumento dei finanziamenti per il clima, per assistere le comunità che affrontano il peso degli impatti climatici, in particolare quelle con meno risorse per adattarsi”. Il Wcc esorta, inoltre, i leader globali ad “affrontare i profondi impatti non economici del cambiamento climatico”, come la perdita e il trauma culturale, che colpiscono in modo sproporzionato i popoli indigeni e altre comunità vulnerabili. “Gli impatti del cambiamento climatico vanno oltre i danni fisici; toccano il cuore stesso delle comunità, erodendo il patrimonio culturale e l’identità spirituale, in particolare per i popoli indigeni - afferma Athena Peralta, direttrice della Commissione Wcc per la giustizia climatica e lo sviluppo sostenibile -. I quadri di finanziamento per il clima devono considerare queste perdite immateriali, rispettando e proteggendo la conoscenza indigena come vitale per soluzioni climatiche resilienti”.
Nel frattempo, 27 istituzioni religiose hanno annunciato il loro disinvestimento dalle aziende produttrici di combustibili fossili, inviando un segnale forte ai negoziatori della Cop29. “I combustibili fossili - si legge in un comunicato congiunto di movimento Laudato si’, Operation Noah, World council of churches, Green anglicans e GreenFaith - sono moralmente inaccettabili, dato l’impatto negativo dell’estrazione e della combustione dei combustibili fossili sul clima, sulla biodiversità e sui diritti umani”.
Mentre “le emissioni di gas a effetto serra si accumulano più velocemente che in qualsiasi altro momento della storia dell’umanità e gli eventi climatici estremi come le inondazioni mortali del mese scorso in Spagna diventano sempre più comuni, i leader religiosi - viene spiegato - sono profondamente preoccupati per i continui investimenti delle compagnie in combustibili fossili che surriscaldano il pianeta e per i piani di espansione della produzione, soprattutto quando esiste un’energia più pulita, più economica e più abbondante, sotto forma di energia solare ed eolica”.
Nel corso di dieci anni di campagne sul clima basate sulla fede, più di 570 istituzioni religiose di tutto il mondo si sono impegnate a disinvestire dai combustibili fossili, tra cui gli Organismi nazionali di investimento della Chiesa d’Inghilterra, i Gesuiti in Gran Bretagna, Canada, Australia e Provincia euromediterranea, la Chiesa di Svezia e la Chiesa anglicana dell’Africa del Sud.
Inoltre, “l’elenco delle istituzioni che hanno deciso di disinvestire comprende undici diocesi cattoliche (otto in Italia, due in Francia e una in Irlanda), nove ordini religiosi cattolici, due diocesi della Chiesa d’Inghilterra, un’università Cattolica in Canada e le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani”.
In Italia, oltre alle Acli, le diocesi che annunciano il loro disinvestimento sono quelle di Acireale, Chioggia, Cuneo-Fossano, Locri-Gerace, Pinerolo, Porto-Santa Rufina e Mileto-Nicotera-Tropea.