Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
Libia e Marocco: disastri che ci interpellano
Terremoti e alluvioni. I Paesi dell’Africa del nord sono pesantemente segnati dalle conseguenze dei fenomeni naturali. A due settimane dal sisma che ha colpito la parte centrale del Marocco, le vittime sono salite a oltre 3 mila con almeno 10 mila feriti. Oltre 4 mila, con 10 mila dispersi, quelle nel Nord-est della Libia, per le conseguenze del passaggio dell’uragano Daniel.
Mentre le squadre di soccorso sono sempre al lavoro nei due Paesi, appare sempre più drammatica la situazione in Libia, per il rischio epidemia di colera, con i corpi scoperti sotto il fango e le macerie della città di Derna, o restituiti dal mare sulle spiagge. Un disastro naturale, quello della tempesta mediterranea Daniel, aggravato anche dalla fatiscenza delle dighe che proteggevano la città portuale di Derna. Colpita anche la città di Bengasi.
Questo cosiddetto “Medicane”, termine nato dalla fusione tra le parole inglesi Mediterranean e hurricane (ossia, uragano), aveva già causato morti e devastazioni in Europa sudorientale, attraversando la Bulgaria, la Grecia e la Turchia, nei giorni precedenti.
Disastro naturale e drammatico anche il sisma, insolitamente forte per la regione, che ha colpito il Marocco lungo la catena montuosa dell’Alto Atlante, dove gran parte delle vittime si deve alle costruzioni tradizionali della zona, non concepite per resistere a questo tipo di eventi
Sebbene non ci sia ancora una prova definitiva che a rendere più intensa la tempesta Daniel siano stati i cambiamenti climatici - con temperature superficiali del Mediterraneo notevolmente superiori alla media per tutta l’estate - quel che è certo per gli scienziati è che le tempeste traggono maggiore energia dai mari più caldi, mentre un’atmosfera più calda trattiene più vapore acqueo, che può cadere sotto forma di pioggia, portando a nubifragi più estremi.
Nella regione costiera del nord-est della Libia, l’acqua ha inondato intere città e villaggi, rendendo molte aree inaccessibili. La situazione è particolarmente critica a Derna, città di 100 mila abitanti che si affaccia sul Mediterraneo, dove le precipitazioni estreme, combinate con la rottura simultanea di due dighe, ha creato estesi allagamenti che hanno spazzato via interi quartieri e trascinato cose e persone. Secondo i media locali, l’elettricità continua a funzionare a intermittenza, mancano generi alimentari e medicinali, le vie di comunicazione sono ostruite, con notevoli complicazioni per le operazioni di soccorso. Migliaia le persone fuggite dalla città devastata verso altre regioni.
La tempesta ha messo in luce le vulnerabilità del Paese ricco di petrolio, impantanato nel conflitto dalla rivolta del 2011 che ha rovesciato Gheddafi.
Secondo le prima ricostruzione dei fatti, le dighe sono state costruite alla metà degli anni ‘70 da un’azienda della Jugoslavia, in base ai requisiti di sicurezza dell’epoca e alle possibili previsioni di portata massima dell’acqua, ma senza una periodica manutenzione.
L’inviato delle Nazioni Unite nel Paese nordafricano, Abdoulaye Bathily, ha affermato che l’entità dei danni e delle perdite causati dalle inondazioni che hanno colpito duramente la regione orientale della Libia “va oltre la nostra immaginazione collettiva”.
Strade come torrenti in piena. Villaggi come cimiteri a cielo aperto. Si scava come si può tra le macerie. Anche il mare, nonostante le alte onde, al largo delle coste della Cirenaica continua a restituire cadaveri. Cresce l’allarme sanitario, e perciò bisogna fare in fretta per scongiurare un epidemia per molti considerata ormai quasi inevitabile. L’altra emergenza ora sono le mine e le munizioni lasciate nel terreno dalla guerra civile, e ora riemerse con gli smottamenti e le acque alluvionali.
Una catastrofe che farà fatica a contare le sue vittime, in un Paese diviso tra due governi rivali, perché è quasi impossibile determinarne il numero definitivo in queste zone abbracciate dal deserto e dove chi vi nasce, e ancor più chi di qui passa come migrante, spesso non è censito. E anche se l’Africa produce solo il 3,8% delle emissioni che alterano il clima, le zone povere e con infrastrutture inadeguate pagano ogni anno un conto economico e sociale molto elevato a causa di siccità, desertificazione e alluvioni sempre più frequenti. E con gli eventi estremi raddoppia il numero degli sfollati.
I costi dei cambiamenti climatici, insomma, non sono uguali per tutti! E chi vede tutto distrutto, sarà spinto a migrare già dalle prossime settimane, prima del freddo dell’inverno.