giovedì, 21 novembre 2024
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Guerre e clima, tragico mix, insicurezza alimentare acuta ai massimi storici

Rapporto globale sulle crisi: nel 2022 salite a 258 milioni le persone in situazione di insicurezza alimentare acuta

Guerre civili, crisi economiche e disastri ambientali sono le principali cause degli alti livelli di insicurezza alimentare registrati lo scorso anno nel mondo, a cui si aggiungono le diverse crisi economiche aggravate con la pandemia e con la riduzione delle esportazioni di grano dovute al conflitto in Ucraina. Già a metà maggio gli attori della rete globale sulle crisi alimentari – che comprende, tra gli altri, la Fao, il Wfp e l’Unione europea – avevano rilevato come, nel 2022, almeno 258 milioni di persone in 58 Paesi e territori avessero affrontato un’insicurezza alimentare acuta a livelli di crisi, rispetto ai 193 milioni di persone in 53 Paesi e territori nel 2021. Una situazione aggravata dal fallimento dell’accordo sul grano nell’ambito del conflitto in Ucraina. Lo si è ribadito anche al Vertice Fao che si è tenuto a Roma, in settimana.

Lo scorso anno la gravità dell’insicurezza alimentare acuta era aumentata al 22,7% rispetto al 21,3% del 2021, rimanendo inaccettabilmente alta, e segnando una tendenza al deterioramento dell’insicurezza alimentare acuta globale. Colpite di più le persone che vivono nelle zone rurali. Oltre il 40% della popolazione bisognosa vive in soli cinque Paesi: Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Yemen e alcuni Stati della Nigeria.

Gli shock economici hanno superato i conflitti come fattore principale dell’insicurezza alimentare acuta e della malnutrizione in diverse gravi crisi alimentari.

L’intersezione fra la crisi climatica e quella alimentare, in questa situazione, rischia di diventare esplosiva. In alcune regioni dell’Africa siamo alla terza o quarta stagione di siccità. La mancanza di acqua ormai non è più l’eccezionalità, ma la norma, così come gli sbalzi termici repentini e la maggior frequenza degli eventi estremi. Per capire come la comunità internazionale possa attuare un cambio di paradigma, per migliorare la prevenzione e affrontare le cause profonde delle crisi alimentari, piuttosto che rispondere ai loro impatti quando si verificano, abbiamo posto alcune domande a Rebecca Richards, a capo del Global network against food crises (Gnafc).

Rebecca Richards (Global network contro le crisi): “C’è urgente bisogno di agire ora, per ridurre
le carenze alimentari”

Leggendo il Rapporto, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 appaiono irraggiungibili. E’ proprio così?

Tutti i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile sono collegati e interconnessi tra loro. Per questo, il loro raggiungimento dipende fortemente da ogni singolo obiettivo. Sebbene si stiano compiendo progressi significativi nel raggiungimento di alcuni degli Obiettivi, per alcuni di essi rimangono presenti notevoli sfide. Mancano sette anni al 2030, e il rapporto Globale sulle Crisi Alimentari (Grfc) indica che l’insicurezza alimentare è peggiorata negli ultimi quattro anni. Il secondo Obiettivo che mira a raggiungere “fame zero” entro il 2030 diventa così ancor più impegnativo!

I conflitti, gli shock economici a livello nazionale e globale, insieme agli estremi meteorologici, continuano a essere sempre più interconnessi, alimentandosi a vicenda e creando una spirale di effetti negativi sull’insicurezza alimentare. Cosa fare?

Nel rapporto Grfc 2023, come nelle edizioni precedenti, si analizza come questi elementi, collegati tra loro - conflitto e insicurezza, condizioni meteorologiche estreme e shock economici - si alimentino e si rafforzino a vicenda. Alcuni di loro hanno un impatto su Paesi specifici più di altri, mentre altri hanno un effetto a catena a livello globale. C’è, perciò, urgente bisogno di agire ora, per ridurre le carenze alimentari e proteggere beni e mezzi di sussistenza. Proteggere i mezzi di sussistenza e costruire la resilienza delle popolazioni per resistere agli shock comporta, tra l’altro, anche una riduzione dei costi per i Paesi e la comunità internazionale nel lungo termine, rispetto alla risposta più costosa di intervenire con urgenza e a breve termine, per salvare le vite di coloro che sono sull’orlo della carestia o ne sono entrati nel vortice.

L’Africa è il continente più colpito dalle crisi alimentari, rappresentando oltre il 50% delle persone più affamate descritte nel Rapporto.

Il rapporto Grfc 2023 attinge e analizza dati ed evidenze dai singoli Paesi, inclusi diversi Paesi del continente africano, confermando quanto presenti siano le crisi alimentari in Africa. Con le proiezioni del 2023, la situazione non sembra migliorare. Condizioni meteorologiche estreme, come la siccità e le inondazioni nel Corno d’Africa e nell’Africa meridionale, e l’escalation di conflitti violenti in alcuni Paesi, come il Sudan, che si ripercuotono anche sui Paesi vicini, possono ulteriormente aggravare le crisi alimentari e le situazioni di fame in alcune parti dell’Africa.

Le attività dovrebbero concentrarsi su un’assistenza umanitaria più efficace?

C’è sempre bisogno di una maggiore collaborazione, comunicazione e coordinamento tra varie agenzie, ong e partner internazionali, a sostegno di molteplici sforzi ed iniziative intrapresi da parte di vari Paesi. Nessuna organizzazione può affrontare da sola le complessità delle crisi che abbiamo davanti oggi. I bisogni crescenti stanno esaurendo ulteriormente le risorse, e questo purtroppo provoca concorrenza tra le organizzazioni per accaparrarsi le poche risorse disponibili.

Quali sono le prime proiezioni per il 2023?

Secondo le proiezioni del 2023, disponibili per 38 dei 58 Paesi/territori considerati, a partire da marzo si prevede che tra 152 e 153,4 milioni di persone, o il 18 per cento della popolazione analizzata, saranno nella fase di crisi o di peggioramento (Ipc/Ch fase 3). A questi si aggiungono oltre 24 milioni di persone che saranno in fase di emergenza (Ipc/Ch fase 4) in 34 Paesi e oltre un milione di persone costretto a vivere in condizioni catastrofiche (Ipc/Ch fase 4). Secondo il Wfo, nel 2023 si prevede che l’insicurezza alimentare acuta persisterà per 345 milioni di persone (quasi 200 milioni in più rispetto all’inizio del 2020), in 79 Paesi.

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