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Giornata dell’Alimentazione, per rendere possibile il diritto al cibo

Nel mondo circa 2,8 miliardi di persone non possono permettersi un’alimentazione corretta. Per questo oggi le istituzioni, le scuole, le imprese sono invitate a ripensare i nostri sistemi alimentari in modo solidale, andando oltre la logica dello sfruttamento selvaggio del creato e indirizzando meglio il nostro impegno nell’uso della terra e nella custodia dell’ambiente. Purtroppo oggi siamo molto lontani dall’obiettivo 2 dell’Agenda 2030. L’analisi di Emanuela Cutelli (Wfp)

“Il diritto al cibo per una vita e un futuro migliori”: è questo il tema scelto quest’anno per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. Un’importante occasione per riflettere sul diritto di ogni persona a un’alimentazione adeguata e per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’accesso universale ad un cibo nutriente, sicuro e sostenibile come diritto umano fondamentale.

Nel mondo circa 2,8 miliardi di persone non possono permettersi un’alimentazione corretta. Per questo oggi le istituzioni, le scuole, le imprese sono invitate a ripensare i nostri sistemi alimentari in modo solidale, andando oltre la logica dello sfruttamento selvaggio del creato e indirizzando meglio il nostro impegno nell’uso della terra e nella custodia dell’ambiente. Purtroppo oggi siamo molto lontani dall’obiettivo 2 dell’Agenda 2030 che indica l’obiettivo dame zero.

Responsabilità collettiva. Gli agricoltori in tutto il mondo producono quantità di cibo superiori al fabbisogno dell’intera popolazione globale, ma purtroppo la fame persiste. Eppure più di un terzo della popolazione mondiale non può permettersi un’alimentazione corretta a causa di conflitti armati, ricorrenti shock climatici e crisi economiche. Le fasce più povere e vulnerabili sono molto spesso composte da famiglie di agricoltori che coltivano i prodotti per le nostre tavole, con conseguente aumento delle disuguaglianze tra i paesi e a livello locale. C’è una responsabilità collettiva che passa anche dalle nostre scelte quotidiane...

Perché accade questo? Quasi un quinto di tutto il cibo prodotto ogni anno viene sprecato o perso prima di poter essere consumato. Una buona parte di questo spreco alimentare avviene nelle nostre cucine, quando prepariamo cibi che non vengono consumati o facciamo deteriorare il cibo nei frigoriferi e nelle credenze. E poi ancora nelle mense scolastiche dove sono ancora poche le buone prassi per ridurre lo spreso alimentare. Vi è una distorsione dei prezzi della filiera produttiva. Basti pensare che da noi quest’anno gli agricoltori hanno speso tra 100 e 120 euro al quintale per la semente di frumento, ricavando tra 17 e 22 euro al quintale per il raccolto. Al dettaglio poi troviamo che un quintale di pane costa tra 500 e 700 euro.

Armi e mancanza di cibo: binomio imperfetto. Nel corso degli anni sono stati tanti gli appelli lanciati da Papa Francesco perché, numeri alla mano, siano ridotte le spese in armamenti e le risorse siano destinante per l’emergenza nutrizionale. I fronti più drammatici sono oggi la Striscia di Gaza, lo Yemen, la Siria Haiti, il Sud Sudan, l’Etiopia, il Sudan, la Somalia, l’Afghanistan, la Repubblica Democratica del Congo, il Centrafrica e il Libano. Eppure, il cibo per gli esseri viventi è la terza esigenza fondamentale dopo l’aria e l’acqua: tutti hanno diritto a un’adeguata alimentazione. I diritti umani come il diritto al cibo, alla vita, alla libertà, al lavoro e all’istruzione sono riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e da due Patti internazionali giuridicamente vincolanti, ma continuano ad essere disattesi. In occasione della giornata dell’alimentazione che si celebra oggi, mercoledì 16 ottobre, abbiamo intervistato Emanuela Cutelli, responsabile comunicazione per l’Italia dell’agenzia Onu World Food Programme (Premio Nobel per la Pace 2020).

Cibo per tutti ma non di tutti! Possiamo continuare a permetterci che l’equivalente di un miliardo di pasti al giorno vada sprecato?

Lo spreco alimentare è inaccettabile. Il mondo produce abbastanza cibo per nutrire ogni bambino, donna e uomo sul pianeta, ma quasi un quinto di tutto il cibo prodotto ogni anno viene sprecato o perso prima di poter essere consumato. Vale a dirsi l’equivalente di un miliardo di pasti al giorno. In molti Paesi ricchi, questo spreco alimentare avviene a valle del percorso che fa il cibo, cioè in cucina, quando prepariamo cibi che non vengono consumati o facciamo deteriorare il cibo nelle dispense. Per milioni di persone nei paesi in via di sviluppo, invece, lo spreco alimentare avviene a monte, cioè al momento del raccolto, che viene rovinato a causa di scarse strutture di stoccaggio delle aziende agricole che causano infestazioni di parassiti e muffe. Inoltre, in mancanza di accesso a tecnologia e mercati, molti agricoltori vedono marcire i propri raccolti nei campi perché la manodopera e gli investimenti finanziari necessari per raccoglierli spesso non sono disponibili. Insieme ai conflitti, al cambiamento climatico, agli shock economici e alla povertà cronica, la perdita di cibo è una delle cause principali della fame in tutto il mondo, oltre a rappresentare uno spreco delle stesse risorse utilizzate per produrre cibo, come terra, acqua ed energia.

Quali obiettivi si sono poste le Nazioni Unite per ridurre gli sprechi alimentari?

Ridurre della metà gli sprechi alimentari globali entro il 2030 è una delle massime priorità, come specificato nel 12° Obiettivo di Sviluppo Sostenibile. La mancanza di competenze per gestire e immagazzinare i raccolti è una delle maggiori sfide che i piccoli agricoltori devono affrontare. Per questo, il Wfp organizza per gli agricoltori corsi di formazione su come migliorare i metodi di gestione post-raccolto e fornisce sovvenzioni per attrezzature di stoccaggio sottovuoto o idrorepellenti, o anche aiuta gli agricoltori ad accedere ai mercati locali. Come, per esempio, fare in modo che i pasti scolastici siano preparati con cibo coltivato localmente o collaborare con le comunità per costruire o ripristinare strade e ponti, nonché strutture di stoccaggio. Ognuno di noi può e deve fare la propria parte nel ridurre le perdite e gli sprechi alimentari, non solo per il cibo in sé ma anche per evitare che le risorse utilizzate per produrlo vadano perdute. Uno spreco nello spreco. In un mondo che vede fino a 757 milioni di persone soffrire ancora di fame cronica, gli sprechi alimentari non sono davvero più accettabili, qualora lo siano mai stati.

La fame nel mondo non è però solo questione di spreco...

Oggi, ci sono 309 milioni di persone nel mondo che soffrono una fame acuta, cioè una grave, diretta e tragica minaccia alla vita. Conflitti, cambiamento climatico e costo della vita sono una tripla minaccia che si autoalimenta, creando una grave crisi alimentare globale che rischia di invertire decenni di progressi nello sviluppo e nella stabilità globali. I conflitti rimangono la causa principale della fame, con circa il 70 per cento dei 309 milioni di persone alla fame acuta che vivono in contesti di violenze e guerre. Negli ultimi dieci anni sono aumentati i conflitti armati, con conseguenze sulla produzione di cibo, sugli sfollamenti di popolazione, sull’accesso degli aiuti umanitari che in alcuni casi hanno portato a situazioni molto vicine alla carestia. La crisi climatica, dal suo canto, spinge sempre più persone nell’insicurezza alimentare. Nel 2023, le conseguenze di eventi meteorologici estremi hanno portato 72 milioni di persone a livelli di insicurezza alimentare di crisi o di emergenza, un aumento del 26 per cento rispetto all’anno precedente, mentre gli shock economici causano un peggioramento della vita per i più vulnerabili con riduzione delle reti di protezione sociale, tagli all’assistenza e ai servizi umanitari, esacerbandone dunque la vulnerabilità.

Le persone più vulnerabili sono spesso quelle che producono il cibo per le nostre tavole, costrette a consumare solo alimenti di base o prodotti a buon mercato, spesso malsani. Altre non hanno accesso a generi alimentari freschi o diversificati, non dispongono delle informazioni necessarie per adottare un regime alimentare nutriente o magari optano per la praticità. Cosa fare come consumatori?

Sono 2,8 miliardi le persone nel mondo che non possono permettersi una dieta sana. I costi della malnutrizione - che sia denutrizione o obesità - sono giganteschi, in termine di salute e di impatto sui sistemi economici. Tutti i paesi del mondo sono colpiti da una forma o l’altra di malnutrizione. Se i paesi a basso reddito affrontano un carico inaccettabilmente elevato di denutrizione, quasi tutti i paesi hanno un numero crescente di persone affette da sovrappeso o obesità. Al cuore di questa crisi è la mancanza di diete accessibili e nutrienti. Sistemi alimentari inefficaci, ricorrenti crisi umanitarie, povertà e disuguaglianza di genere sono barriere che impediscono l’accesso a cibo nutriente, mentre la gravità della malnutrizione e delle diete inadeguate è più profonda nei paesi che affrontano crisi persistenti. I consumatori finali hanno la responsabilità di tenersi aggiornati sui progressi verso un accesso equo al cibo per tutti, donne, uomini e soprattutto bambini, il capitale umano di ogni paese. Per questo, gran parte del nostro lavoro è rivolto ai bambini piccoli e alle madri incinte e che allattano, poiché sono i più vulnerabili alla denutrizione. Sostenere una buona nutrizione durante i primi 1.000 giorni di vita - dalla gravidanza ai due anni - è anche il modo più conveniente per prevenire la malnutrizione e garantire una buona crescita e sviluppo per tutta la vita. Il WFP fa la sua parte, anche attraverso la campagna #unmondosenzafame, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione del 16 ottobre.

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