Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
A scuola da don Milani
Molte iniziative per il centenario dalla nascita del priore di Barbiana. I suoi insegnamenti, secondo l’allievo Francesco Gesualdi, sono ancora attuali
Si susseguono le iniziative per ricordare il centenario dalla nascita di don Milani (27 maggio), tra le quali la mostra itinerante “Barbiana: il silenzio diventa voce” proposta dalla Caritas Tarvisina nel corso dell’incontro post odc e avs del 30 aprile scorso. Anche il presidente Mattarella salirà a Barbiana per ricordare la figura del priore, visitando la scuola e il vicino cimitero dove è sepolto. Per ripercorrerne alcuni tratti abbiamo dialogato con Francesco Gesualdi, uno dei primi allievi della scuola di Barbiana.
Qual è l’attualità della figura di don Lorenzo Milani?
Il priore, come lo chiamavamo noi, ci ha lasciato molti insegnamenti estremamente attuali, che si possono ricondurre a tre grandi capitoli: la scuola, la cittadinanza, il senso della vita. Rispetto alla scuola ci ha lasciato detto che il suo compito è formare dei cittadini sovrani, che deve essere al servizio di tutti, che la sua funzione è accompagnare, non giudicare. Rispetto alla cittadinanza ci ha insegnato che il nostro contributo alla costruzione della società non passa solo attraverso la cabina elettorale, ma attraverso ogni gesto che compiamo quotidianamente: il consumo, il risparmio, il pagamento delle tasse, il lavoro, il rapporto con la legge. Tramite la lettera che scrisse ai giudici, nota come “L’obbedienza non è più una virtù”, il priore ci ha spiegato che nelle società complesse i progetti del potere si realizzano con la collaborazione di tutti. Spesso aderiamo agli inviti del potere in maniera acritica e finiamo per sostenere società ingiuste e violente. Se invece ci interrogassimo ogni volta che ci viene chiesto di adeguarci a certi comportamenti e aderissimo solo se li troviamo in linea con i più alti valori umani e sociali, i propositi negativi non troverebbero attuazione ed emergerebbe un’altra società, senza soprusi e senza guerre. Quanto al senso della vita, ci ha insegnato che va spesa per permettere a tutti di vivere dignitosamente, non per il tornaconto personale. Un concetto espresso magistralmente in “Lettera a una professoressa”: “Uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica”.
Don Milani si proponeva a scuola non come “compagnone” alla pari, ma come guida che fa determinate scelte a partire dalla coscienza che ha del significato di sé e della propria vita. Quanto rimane attuale quell’esperienza?
A Barbiana la scuola non si concentrava sulle anticaglie e sugli argomenti che dominavano i salotti dell’Ottocento, come invece continua a fare la scuola di oggi. Barbiana non era neanche una scuola di indottrinamento. Barbiana si poneva l’obiettivo di renderci persone libere. Ma prima di agire ci veniva insegnato a informarci, a valutare bene ogni aspetto, a chiederci quale saranno le conseguenze delle nostre scelte sui più deboli. Per questo Barbiana era una scuola che teneva costantemente la finestra aperta sulla realtà, non solo quella vicina che vivevamo direttamente, anche quella più lontana, attraverso la lettura del giornale. E ogni avvenimento veniva discusso con la partecipazione di tutti.
In questo modo il cuore della scuola non è lo svolgimento del programma (il mito di buona parte della docenza)...
L'oggetto delle indagini e il punto di partenza per lo studio delle varie materie erano i piccoli e grandi fatti umani. Oggi, come allora, le materie e i programmi insegnati nelle nostre scuole dell’obbligo (per non dire poi soprattutto delle superiori) sono spesso piene solo di concetti astratti. Il programma è un’invenzione al servizio degli insegnanti, non degli allievi. E’ troppo più semplice fare scuola conoscendo sempre i solchi del tema da trattare. Evita la fatica di doversi confrontare con l’incerto come è la realtà, ed evita il rischio di dovere ammettere, qualche volta, che non si sa come stanno le cose. Per cui si è costretti a indagare, valutare, andare a cercare chi ne sa di più e metterli a confronto. Una scuola orientata alla realtà non significa abolizione totale delle nozioni, bensì loro ponderazione in base a ciò che serve per capire la complessità della vita in tutte le sue sfaccettature: umane, sociali, economiche, ambientali, morali, spirituali. Allora gli allievi vivranno anche il tempo delle nozioni con slancio e partecipazione, perché saranno loro stessi a sentirne il bisogno. Non è possibile capire il giornale se non si conoscono la geografia, le forme organizzative dello Stato, la storia degli ultimi due secoli, il funzionamento e la critica dell’economia in cui viviamo e soprattutto la lingua che sta alla base della comunicazione.
E, allora, come bisognerebbe orientare la scuola?
Per orientarsi verso questo tipo di scuola bisogna partire dai ragazzi invece che dalla struttura. Precisando che la struttura non è rappresentata solo dalla scuola, ma da ogni forma di potere che governa la società. In primis quello economico, a cui servono dei bravi tecnici, non dei bravi cittadini. Alle aziende servono lavoratori capaci di svolgere bene le proprie mansioni, ma totalmente ignari dei propri diritti. Sarà forse un caso se in qualsiasi scuola superiore si fa studiare la matematica più astrusa, utile solo a chi dovrà calcolare le orbite delle bombe e dei satelliti, ma non concede nemmeno un minuto ai contratti di lavoro?