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La “partecipazione dal basso di Danilo Dolci

Decise, ancora giovanissimo, di trasferirsi in Sicilia. Promosse il primo digiuno “gandhiano” e fu promotore del cosiddetto “approccio maieutico”. Parla il figlio Amico

Cento anni fa, il 28 giugno 1924, nasceva a Sesana nell’allora Carso triestino Danilo Dolci. Sociologo, architetto, scrittore e poeta, profondo innovatore dell’educazione nel nostro Paese.

Dopo essersi messo in salvo dal fascismo durante la Seconda guerra mondiale e dopo l’esperienza con don Zeno Saltini nella Comunità di Nomadelfia, Dolci decise, ancora giovanissimo, di trasferirsi in Sicilia. Per la precisione a Trappeto, nella parte occidentale dell’isola, colpita dalle condizioni di degrado, di miseria e di oppressione che caratterizzavano quella zona d’Italia vessata dalla mafia e dalle miserie del dopoguerra. Iniziò con loro una lunga campagna di resistenza nonviolenta che nel 1952 lo vide realizzare il primo digiuno gandhiano in Italia.

Nel 1956 inventò a Partinico lo “sciopero alla rovescia”, durante il quale centinaia di disoccupati si organizzarono per riattivare pacificamente una strada comunale abbandonata. Un gesto che lo condusse all’arresto. Durante il processo venne difeso dai grandi intellettuali e giuristi dell’epoca come Norberto Bobbio e Piero Calamandrei.

Tra i tanti suoi primati vi è anche quello di essere stato il primo a denunciare il livello politico della mafia. Un agire che porterà addirittura Aldo Moro a dover allontanare un ministro e un sottosegretario grazie alle sue denunce circostanziate.

Per tutta la vita Dolci ha cercato connessioni e comunicazioni possibili per liberare la creatività nascosta in ogni persona che favorisce la responsabilizzazione delle comunità e degli individui: ha chiamato questo percorso come “approccio maieutico”, prendendo il termine dalle strutture filosofiche di Socrate e dal pensiero di Freire per incorporarlo in una pratica sociale, educativa e civile moderna.

Per conoscere la figura di Danilo Dolci abbiamo posto alcune domande al figlio Amico che ne sta portando avanti l’opera. Lo abbiamo raggiunto nelle Madonie, terra selvaggia e splendente dell’entroterra cefaludese, dove si produce il “miele di rugiada” dai frassini.

Amico, quali valori ti ha lasciato tuo padre Danilo?

Mio padre era attonitissimo all’uso delle parole. Insegnare ed educare ad esempio percorrono due direzioni diverse, così come trasmettere e comunicare. Per lui era più qualificante e positiva la comunicazione - che comprende lo scambio -, mentre nella trasmissione uno manda e l’altro spesso ‘subisce’ rimanendo passivo. A parte queste sottolineature semantiche a cui teneva, i valori che mio padre ha portato avanti nascevano dalle riflessioni emerse negli anni ’50 tra la gente di Partinico sui valori principali dell’essere umano. La gente allora (ndr forse anche oggi) non era abituata a sentirsi porre delle domande e cercare delle risposte. Quando papà chiedeva “qui dove non c’è l’asfalto nelle strade, dove l’acqua non scorre dai rubinetti, come si può cambiare?” per molti di loro – siamo negli anni 1952-53 – erano domande inconcepibili. Si sentiva rispondere “perché cambiare se è sempre stato così? Cosa c’è da cambiare!” A poco a poco dalle emergenze, dai bisogni e dai valori la gente cominciò a riflettere verso dove voleva andare. Se si è poveri bisogna modificare le condizioni, ma ai propri valori che vanno ricercati insieme e vanno perseguiti non bisogna mai rinunciare.

Tuo padre con il gruppo che ruotava attorno al Centro Studi di Partinico è stato in qualche modo antesignano del concetto di “sviluppo sostenibile”?

Mi sembra un’ottima sintesi del percorso di papà. Perché i contadini che hanno la loro cultura, hanno una loro sapienza, a proposito del territorio vanno ascoltati. Sono loro che conoscono profondamente pregi e difetti del territorio e negli incontri su come migliorare il territorio attorno a Partinico dicevano che la terra era fertile ma c’era il problema dell’acqua. L’idea di raccogliere l’acqua invernale in un invaso per utilizzarla d’estate ha veramente cambiato quella parte della Sicilia che tutt’ora è sempre verde, anche in agosto.

Danilo è stato apprezzato da personalità del suo tempo come Norberto Bobbio, Eric Fromm, Italo Calvino, Lanza del Vasto, Aldo Capitini, Noam Chomsky. Ha indetto la “Marcia della protesta e della pace” (1967) e si trovò insieme a Peppino Impastato. Per il suo impegno sociale, essendo denominato il “Gandhi italiano”, però dava fastidio alle gerarchie...

Nel 1967 quando venne organizzata la Marcia per il lavoro e contro la guerra nel Vietnam, camminando per una settimana a tappe diverse da un paese ad un altro, si era unito anche Peppino Impastato in qualità di cronista per il suo giornale, ‘L’idea socialista’. Secondo l’esperienza del Centro l’importante era individuare le cause dei problemi per cui la gente soffriva, e proporre delle alternative concrete. Questo lavoro dava fastidio sia alle gerarchie politiche che ecclesiastiche. Dolci e Franco Alasia (ndr suo stretto collaboratore) nel 1965 arrivarono a fare pesanti accuse – formulate anche in una conferenza stampa, dopo un’audizione in Commissione antimafia – a esponenti di primo piano e a notabili della vita politica siciliana e nazionale. Ha avuto frequentazioni con preti scomodi come padre David Maria Turoldo, don Tonino Bello.... Papà ha anche brevemente incrociato don Milani durante una sua visita alla scuola di Barbiana. Dopo aver visto le atrocità del fascismo e del nazismo ha preso parte all’esperienza di Nomadelfia, dove ha trovato un luogo dove il Vangelo si poteva inverare, prima di trasferirsi a Trappeto: un villaggio di contadini e di pescatori a metà strada tra Palermo e Trapani. Da quest’area contrassegnata dall’arretratezza e dalla povertà opera con le fasce sociali più deboli per cercare di fornire loro gli strumenti necessari al cambiamento e ad un riscatto sociale democratico...

Non venne compreso in Italia, ma ebbe diversi estimatori all’estero tanto da essere stato nove volte candidato al Nobel per la Pace...

Papà, una volta avviato il Centro Studi e Iniziative, ha sempre continuato a sperimentare la modalità del chiedersi insieme quali potevano essere le soluzioni ai problemi. Insieme significa sia gli analfabeti che i professionisti. Questa metodologia di costruzione della partecipazione dal basso, unita al suo impegno contro la mafia, gli valsero importanti riconoscimenti e la candidatura al premio Nobel...

Perché è ancora attuale il pensiero di Danilo Dolci, a oltre 25 anni dalla sua morte?

Questa è una domanda che mi coinvolge emotivamente. E’ una domanda che mi ponevo anch’io verso i 17-18 anni, quando mi chiedevo “questa esperienza di partecipazione collettiva a Partinico esiste perché papà - come dicono - è così ‘carismatico’ oppure è una metodologia che si può attuare nel tempo? Dopo appunto più di 26 anni dalla sua morte (ndr 30 dicembre 1997) continuiamo a proporre la sua metodologia nei gruppi e nelle scuole; possiamo dire che aiuta l’incontro, aiuta ad occuparsi delle cose che interessano ciascuno di noi, grandi o piccoli che siamo. E’ dall’ascolto e dall’ascoltarsi reciprocamente che vengono le idee per una presenza attiva alla vita della comunità.

Questa metodologia è nota come “maieutica reciproca”. Potresti spiegare brevemente in cosa consiste?

Si tratta di un processo di domanda e risposta in cui seduti in cerchio ognuno racconta agli altri la propria esperienza, il proprio vissuto, i propri bisogni e desideri. In un mondo permeato da dinamiche prevaricanti, in cui pochi prendono le decisioni per molti, in cui vince il più forte, la maieutica reciproca si pone come alternativa nonviolenta: attraverso domande e risposte si arriva a definire insieme soluzioni che trovano l’approvazione della comunità. Perché si chiama “maieutica”? Il filosofo greco Socrate è il primo a usare questa parola che si riferisce all’attività dell’ostetrica, cioè al “fare nascere”: ognuno può “mettere al mondo” la propria conoscenza e donarla agli altri, attraverso le domande, attraverso il dialogo, le proprie esperienze e la reciprocità dei rapporti con gli altri. A differenza che in Socrate per papà la maieutica deve essere “reciproca”, perché non è solo il contadino che impara dall’ingegnere, o il pescatore dall’astronomo, lo studente dal maestro... Grazie a innumerevoli riunioni con contadini, pescatori, bambini e genitori, emergono e vengono compresi problemi, bisogni e desideri della comunità di Trappeto, le sue potenzialità e la possibilità di pianificare insieme un futuro condiviso per tutti, un futuro sognato da tutti. Con questo si capisce come, ad esempio, anche l’astronomo impari dal pescatore che conosce le stelle e si orienta nel mare di notte: l’esperienza dei due deve portare ad un arricchimento reciproco. Si sviluppa, così, una comunità consapevole del proprio futuro.

L’esperienza della reciprocità dell’ascolto che oggi sembra mancare nella nostra società?

Questa “concertazione”, in cui non c’è uno più importante dell’altro, dovrebbe permeare la nostra società dalle famiglie alla politica, dalle associazioni alle scuole. Questo processo, che per fortuna molte persone attuano anche senza saperlo, aiuta le persone a tirare fuori le loro potenzialità, la loro creatività. Forse oggi ne avremmo ancora più bisogno.

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