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“Dune. Parte Due” di Villeneuve e “La Sala Professori” in gara agli Oscar

“Dune. Parte Due” è un racconto giocato tra fantastico e sfumature distopiche, con evidenti richiami ai deragliamenti del presente, disseminato anche da un simbolismo religioso. “La Sala Professori” di Ilker Çatak, candidato all’Oscar come miglior film internazionale, è un livido affresco di stringente attualità sul mondo scolastico, un thriller di matrice sociale.

L’attesa è finita. Dal 28 febbraio è sbarcato in sala “Dune. Parte Due” di Denis Villeneuve, targato Warner Bros. e Legendary Pictures. Il regista canadese torna a raccontare il cammino di formazione del giovane Paul Atreides, considerato da molti il profeta della liberazione dal giogo della schiavitù dell’impero. Villeneuve rimette in campo tutti gli elementi che avevano entusiasmato nel primo capitolo della saga uscito nel 2021, firmando uno stiloso kolossal persino migliore del precedente. A colpire è soprattutto la sua regia, acuta e vigorosa. “Dune. Parte Due” è un racconto giocato tra fantastico e sfumature distopiche, con evidenti richiami ai deragliamenti del presente, disseminato anche da un simbolismo religioso. Ancora, al cinema dal 29 febbraio con Lucky Red troviamo “La Sala Professori” di Ilker Çatak, candidato all’Oscar come miglior film internazionale. Livido affresco di stringente attualità sul mondo scolastico, un thriller di matrice sociale che evidenza una bruciante sconfitta educativa – condivisa tra insegnanti e genitori – e un’allarmante cultura del sospetto. Un’ottima prova di regia, corroborata dalla valida protagonista Leonie Benesch. Il punto Cnvf-Sir.

“Dune. Parte Due” (Cinema, 28.02)

La scommessa è vinta, soprattutto per Denis Villeneuve. Il regista e sceneggiatore canadese, autore di “Arrival” (2016) e “Blade Runner 2049” (2017), dopo la prova muscolare con “Dune” nel 2021 – la rischiosa operazione di adattamento del cult di Frank Herbert dopo l’ingombrante precedente a firma di David Lynch nel 1984 –, dirige il secondo capitolo della saga di Arrakis. Villeneuve soddisfa le elevate aspettative e al contempo si spinge in avanti, confezionando un’opera più potente, solida e compatta nonostante la copiosa lunghezza (165’). Magnifica e convincente in “Dune. Parte Due” è soprattutto la sua regia, la vis narrativa che ha saputo mettere in campo. Certo, poi arriva tutto il resto a cominciare dall’ottimo cast: Timothée Chalamet, Zendaya, Rebecca Ferguson, Javier Bardem, Florence Pugh, Austin Butler, Josh Brolin, Léa Seydoux, Stellan Skarsgård, Christopher Walken e Charlotte Rampling.
La storia. Paul Atreides e Lady Jessica, rispettivamente figlio e compagna del duca Leto Atreides, sono in fuga nel deserto di Arrakis, tallonati dalle truppe del barone Vladimir Harkonnen. Nel deserto Paul si unisce ai Fremen, affascinato dalla coraggiosa guerriera Chani. Il giovane sente su di sé la pressione della madre e di parte dei Fremen, che lo considerano l’atteso messia che li libererà e li guiderà alla “guerra santa” contro l’impero...
A firmare il copione di “Dune” è lo stesso Villeneuve insieme a Jon Spaihts. Il regista compie un lavoro enorme dal punto di vista della messa in scena, il controllo della dimensione visiva-immersiva nell’universo “Dune”. Al suo fianco, a imprimere forza, realismo e pathos al racconto, la sorprendente fotografia firmata da Greig Fraser (“The Batman”) e l’ottimo montaggio di Joe Walker (“Arrival”), senza dimenticare il contributo della partitura di Hans Zimmer (già Oscar per le musiche di “Dune” nel 2022).
Accanto alla regia, agli elementi formali e artistici, a funzionare in “Dune. Parte Due” è la narrazione, con i complessi temi in campo e i diffusi riverberi allegorici, anche di stringente attualità, tra conflitti sociali e geopolitici. Anzitutto è evidente il richiamo a un simbolismo religioso, con la figura del profeta-messia che è atteso perché risollevi le sorti del suo popolo e guidi a una rivalsa, un riscatto che però sconfina nei territori della vendetta. C’è poi l’elemento “mistico” del deserto, il luogo della contemplazione e formazione, della presa di coscienza di sé e dei propri doveri. C’è un rimando poi alla dimensione coloniale, al sollevamento di popolazioni del Sud del mondo contro un Occidente – accostato all’immagine dell’impero – che succhia risorse, l’acqua, dunque la vita.
La figura di Paul Atreides, la sua riluttanza ad accettare il gravoso compito che l’attende, non è motivata dal timore, bensì dal desiderio di disinnescare una guerra che sarà macchiata – come attestano le sue visioni-incubi – da sangue e sofferenze. Una riluttanza che evoca l’incertezza dell’eroe, il desiderio di evasione per una vita altra, dove possa trovare posto anche l’amore, tratti che evocano molti titoli letterari e cinematografici, compresa la saga di George Lucas “Star Wars”.
“Dune. Parte Due” è un’opera densa, complessa, dal ritmo serrato e magnetico. Un film di genere che abita il fantastico, ma capace di sconfinare con suggestioni – a tratti allarmanti – sul nostro oggi. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

“La Sala Professori” (Cinema, 29.02)

Ancora un colpo al cuore dalla Lucky Red. Dopo “Perfect Days”, “Il ragazzo e l’airone” e “Past Lives”, la casa di distribuzione fondata da Andrea Occhipinti porta al cinema un altro titolo di grande forza espressiva: “La Sala Professori” (“Das Lehrerzimmer”) di Ilker Çatak, film tedesco passato con successo alla Berlinale73 e in corsa agli Oscar nella categoria miglior film internazionale (la stessa di “Io Capitano”). Uno sguardo in chiaroscuro sul mondo scolastico, tra corpo docente, alunni e genitori. Un affresco sociale che esplora pregiudizi, fragilità, omissioni e colpe, evidenziando alla fine un’amara sconfitta educativa. Ottima la prova della protagonista Leonie Benesch (“Il nastro bianco”, “Lezioni di persiano”).
La storia. Germania, oggi. La giovane Carla Nowak è un’insegnante di scuola al primo incarico. Crede nel dialogo, nella fiducia verso i suoi piccoli allievi e nei nobili compiti dell’istituzione. Quando in classe si verificano dei furti di denaro e tra i sospettati finisce un suo allievo, Carla decide di indagare. I suoi buoni propositi però attivano una serie di conseguenze inaspettate, per lo più sconfortanti...
“Volevamo analizzare un sistema, riflettere sulla nostra società. La scuola è un buon punto di partenza, è come un laboratorio”. Così il regista tedesco Ilker Çatak, tracciando il perimetro del suo film. Scritto insieme a Johannes Duncker, “La Sala Professori” sorprende per lo sguardo sociale e al contempo introspettivo, che ricorda tanto la forza espressiva dei primi (magnifici!) film di Susanne Bier tra cui “In un mondo migliore” (2010).
L’opera di Çatak mostra come un’efficace istantanea il nostro presente, quello della Germania e dell’Europa tutta, dove sembrano saltati il dialogo e la cooperazione tra docenti e genitori, lasciando i più piccoli a farne le spese. Non è però un racconto che si muove sulla polarizzazione bianco-nero, bene-male. In campo ci sono attanti solitari, che si sentono detentori di certezze, costantemente sotto attacco, e che agiscono non pensando alle conseguenze delle proprie azioni. Seppure animata da valide e nobili intenzioni, la prof.ssa Nowak attiva un’escalation di tensioni e conseguenze che si abbattono sull’alunno più brillante della classe, Oskar (Leo Stettnisch), figlio di immigrati che sconta già un prezzo alto in termini di integrazione. A complicare la situazione è la reazione della madre di Oskar (Eva Löbau), che sentendosi infangata si avvia allo scontro con la Nowak, non pensando alla serenità del figlio. Così, sul volto del piccolo Oskar si leggono alla fine del film tutte le amarezze di un mondo adulto che antepone le regole alle persone, l’Io al Noi, la cultura del sospetto al dialogo. Un bambino che finisce con il perdere l’innocenza per sperimentare prematuramente lampi di livore ed esclusione.
A conquistare del film “La Sala Professori” è di certo la regia di Ilker Çatak, così attenta e misurata, capace di esplorare le pieghe del reale con la tensione di un thriller psicologico, dove la ricerca della verità si fa sfaccettata e sfocata. Lo stile narrativo di Çatak sembra muoversi nel solco del “pedinamento del reale”, richiamando Zavattini e la lezione neorealista, come pure la scuola del cinema sociale europeo odierno dove figurano i fratelli Dardenne. “La Sala Professori” è un film intenso, da vedere, girato e interpretato magnificamente. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

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