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Il braccialetto elettronico è davvero la soluzione?

È di questi giorni la notizia dell’ennesimo femminicidio di una donna da parte del marito, già denunciato per maltrattamenti ed arrestato a giugno, nei cui confronti il giudice aveva disposto il divieto di avvicinamento alla moglie con obbligo di indossare il braccialetto elettronico. Dalle prime indagini sembrerebbe che il braccialetto elettronico non abbia funzionato a dovere, ossia non si sia attivato l’allarme previsto in caso di avvicinamento alla donna. Ma cos’è il braccialetto elettronico, come funziona e quando può esserne imposto l’obbligo di indosso? È un dispositivo utilizzato nell’ambito giudiziario per controllare la libertà personale di un individuo che, in tal modo, viene posto sotto la sorveglianza dell’Autorità. Indossato al polso o alla caviglia, è dotato di un sistema di geolocalizzazione satellitare che permette di monitorare gli spostamenti della persona che lo indossa determinando con precisione la sua posizione, così permettendo all’Autorità di intervenire qualora vi sia la violazione delle restrizioni imposte. L’uso di questo dispositivo è stato introdotto in Italia verso i primi anni duemila come misura alternativa alla detenzione in carcere per ovviare al cronico problema del sovraffollamento; tuttavia, successivi interventi normativi, in particolare l’approvazione del cosiddetto Codice Rosso, lo hanno reso anche uno strumento di prevenzione dei reati connessi alla violenza domestica e di genere. La legge prevede l’utilizzo di tale dispositivo per la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, la custodia cautelare in attesa di giudizio, la detenzione domiciliare e l’esecuzione della pena detentiva in regime di semilibertà. Il braccialetto può essere utilizzato per reati come il furto, la truffa, i reati tributari, quelli contro la pubblica amministrazione, i reati connessi alla droga e i reati legati alla violenza domestica e di genere. Ovviamente è sempre il giudice che ne dispone l’utilizzo, ottenuto il preliminare consenso del soggetto (si tratta pur sempre di una misura limitativa della libertà personale) e tenuto conto della disponibilità dei dispositivi in quel momento. Qualora la persona che lo dovrà indossare neghi il consenso o non vi siano braccialetti disponibili, al giudice non resterà che disporre la custodia in carcere, ove ne ricorrano i presupposti di legge. Nel caso di reati di violenza domestica e di genere, anche la vittima viene dotata di un dispositivo in grado di rilevare la presenza dell’aggressore nelle vicinanze e inviare l’allarme alle Forze dell’ordine. Soprattutto in questi reati, l’utilizzo del braccialetto può essere molto utile come strumento di prevenzione di fatti più gravi perché l’obbligo di indosso può essere disposto dal giudice anche nei confronti dell’indagato, ovvero della persona non ancora giudicata, nei cui confronti sia stata sporta una denuncia o una querela per maltrattamenti, abusi e violenze, e può essere di grande supporto sia per la vittima che per la polizia. Tuttavia, la carenza di braccialetti in numero tale da soddisfare le attuali esigenze e la fallibilità del dispositivo elettronico per malfunzionamenti, guasti o manomissioni, non lo rende uno strumento capace di arginare il compimento o la reiterazione di reati anche molto gravi.

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