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Settimana sociale: intervista al vescovo Tomasi dopo Trieste

Questa esperienza “ci dice che esiste un tessuto, che in giro per l’Italia esistono molta fantasia e creatività. Tante esperienze che devono essere messe in condizione di dialogare, conoscersi, parlarsi”
11/07/2024

“Sarà difficile raccontarla a chi non ha partecipato”. Il vescovo di Treviso, Michele Tomasi, parte da una frase di Elena Granata, una delle persone con cui ha condiviso in questi mesi la presenza nel Comitato scientifico e organizzatore della cinquantesima Settimana sociale dei cattolici in Italia, che si è svolta a Trieste dal 3 al 7 luglio. Difficile, perché la partecipazione non è stata solo l’argomento trattato, “ma il cuore stesso dell’esperienza”. Eppure, raccontare si può e si deve, proprio per allargare ai territori lo stile “partecipativo” con cui si è svolto l’appuntamento nazionale, che è andato bene, “oltre ogni attesa”, per il suo “rigenerare energia e voglia di esserci”. Questo, dunque, lo spirito con cui raccontiamo, a partire dall’esperienza e dalle parole del Vescovo (oltre che attraverso gli altri servizi di queste pagine), le giornate triestine, vissute da mons. Tomasi a stretto contatto con il Comitato nazionale, ma anche con la rappresentanza della nostra diocesi.

Che bilancio possiamo trarre, dunque, di questa Settimana sociale?

Un bilancio pienamente positivo, anche per l’attenzione che ha suscitato, oltre i confini nazionali, per l’importante presenza del Papa e quella del presidente Sergio Mattarella. Per la prima volta, a una Settimana sociale, c’è stata questa doppia presenza. L’evento è stato seguito dall’opinione pubblica. Si è trattato di un momento bello, in continuità con la precedente Settimana sociale di Taranto, ma anche con delle novità importanti. Al centro, c’erano i gruppi di lavoro, il tempo delle relazioni “frontali” è stato ridotto, a vantaggio del dialogo, del confronto, dei momenti nelle piazze e nel villaggio delle Buone pratiche, senza dimenticare gli spazi artistico-musicali durante le serate.

Un’esperienza nazionale, eppure “incarnata” in una città di frontiera come Trieste. Lo si è percepito?

Trieste non è stata, solamente, il luogo dove si svolgeva l’evento, ma la città è stata un soggetto importante. Conosciamo la sua storia, le molte ferite, il suo essere crocevia d’incontri. Trieste ha vissuto nella propria carne la contraddittoria drammaticità della storia, in città c’è l’unico campo di sterminio nazista in territorio italiano, poco lontano c’è la foiba di Basovizza. Ma Trieste è stata anche il porto dell’Impero asburgico, luogo d’incontro tra Est e Ovest, qui l’ecumenismo si vive in modo concreto e reale. E questo è anche il terminale della rotta balcanica dei migranti. Tutto questo è stato percepito, oltre al fatto che un incontro di questo tipo ha bisogno di spazi fisici adeguati, e Trieste è stata un “teatro” ideale, con le sue piazze vicine tra loro, i suoi scorci bellissimi. Grazie a questo, siamo stati una Chiesa realmente in uscita, nelle piazze. Non uno slogan, l’interazione con la città è stata concreta, per esempio nel villaggio delle Buone pratiche.

A proposito di buone pratiche, da esse che messaggio è arrivato?

Ci hanno detto che c’è un tessuto, che in giro per l’Italia esistono molta fantasia e creatività. Tante esperienze che devono essere messe in condizione di dialogare, conoscersi, parlarsi. Penso a tante realtà che riguardano il mondo della cura per la persona, il sociale, l’economia, la cultura, l’ambiente. Si tratta di una realtà diffusa, che c’è, non dobbiamo pensare che si debba partire da zero, anche se magari si tratta di una presenza diversa rispetto a quella di un tempo, rispetto a quella che ci aspettiamo di trovare. Questo riguarda anche il mondo della politica. Ci si chiede dove sono i cattolici, e invece ce ne sono, e tanti, dagli amministratori presenti a Trieste, al presidente Mattarella, alla stessa presidente del Consiglio. Un’adesione che è chiamata a diventare riferimento per la propria formazione personale.

Cosa l’ha colpita di Mattarella e del Papa?

Il Capo dello Stato, anzitutto, si è sentito accolto, a casa sua. Rappresenta il contributo sano del cattolicesimo italiano, e ce lo ha mostrato con puntuali riferimenti. Ci ha dato spunti di orientamento per una democrazia “sostanziale”, per una tensione alla partecipazione che tenga conto del quadro generale. Ci ha detto chiaramente che partecipare non vuol dire parteggiare, ma prendersi cura del tutto. Ci ha detto che democrazia è camminare insieme, e ci ha mostrato, così, pur nella diversità di ambiti, il punto di contatto con il cammino sinodale. Il Papa è stato anch’egli accolto con grande calore e gratitudine. Magari, fisicamente è un po’ provato, ma si coglie il suo spirito indomito, il desiderio di esserci. Ci ha dato speranza, ho trovato molto importante l’invito che ha fatto ai cattolici, di avere, da cittadini, la Costituzione “come bussola”. Ci ha chiesto di coinvolgerci, di dare voce a chi non ha voce, di partecipare, mettendo al centro la vita delle singole persone. Ha benedetto le persone, non le categorie, perché il bene è concreto. Ha chiesto ai politici, un po’ come dice spesso a noi pastori, di camminare “davanti”, “con” e “dietro” al popolo.

Qual è il bilancio della sua esperienza all’interno del Comitato scientifico e organizzatore della Settimana sociale?

E’ stata un’esperienza nuova e intensa, in cui era importante stare dentro a questo processo, tenendo insieme i vari aspetti. E’ stato bello vedere un evento nel suo “farsi”, e poter dare un piccolo contributo.

Ha avuto modo, a Trieste, di incontrare la delegazione trevigiana?

Sì, abbiamo avuto cinque tra delegati e delegate, eravamo presenti con quattro buone pratiche, che sono l’esempio di vitalità di progetti e iniziative. In particolare, la Comunità energetica rinnovabile della nostra diocesi è stata presentata, in un incontro, dal nostro economo, Sergio Criveller. Con la delegazione trevigiana ho condiviso vari momenti, ci siamo incrociati, siamo stati insieme, anche durante i pasti. A Trieste abbiamo sempre mangiato tutti insieme, 1.200 persone, in una grande tavolata.

Una volta tornati a casa, che “compito” ci aspetta?

Anzitutto, quello di riprendere e di rilanciare, nella vita della diocesi, un metodo, una modalità, molti dei contenuti. Anche questi, infatti, sono stati una parte rilevante, molto è stato detto su tanti temi, per esempio - ma ce ne sono tanti altri - sull’economia civile, la giustizia riparativa, la pace, la disabilità. Il metodo scelto permetterà che non vada perso il lavoro dei gruppi, che sarà “restituito” in settembre. Ci sono molte proposte e molti temi da mettere in agenda nelle nostre comunità. Questa, ora, è la scommessa, arrivare alle nostre comunità. Pure qui, non si parte da zero. Questa sarà l’occasione per rilanciare esperienze consolidate, come la Settimana sociale dei cattolici trevigiani, ma anche per trovare forme nuove per rendere presenti le varie questioni alle comunità, per essere soggetti rilevanti nella vita del nostro territorio. Ho notato con piacere, a Trieste, anche un protagonismo dei giovani, tanti e attivi. Dovremo trovare il modo di adattare le forme vissute a Trieste al nostro territorio, collegarle al cammino sinodale. Trieste ci ha detto che succedono tante cose belle, la sfida è che si riconoscano e si mettano in rete. Non abbiamo solo problemi e stanchezze, che pure conosciamo. C’è tanta vitalità, che ci aiuta a riconfigurare le nostre comunità.

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