martedì, 22 ottobre 2024
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Ddl Sicurezza: “Legge e ordine”, ma solo in teoria

Il testo approvato dalla Camera introduce venti nuovi reati. Misure repressive contro le manifestazioni di protesta

Lo scorso 18 settembre la Camera dei Deputati ha approvato in prima lettura il cosiddetto Ddl Sicurezza. Il disegno di legge, che reca la firma dei Ministri dell’Interno, della Difesa e della Giustizia, passa ora al Senato. Si tratta di un testo di legge piuttosto complesso (38 articoli in tutto) che interviene su vari ambiti: dalla sicurezza urbana alle misure per le vittime dell’usura; dall’ordinamento penitenziario alle norme sulle forze dell’ordine.

L’approvazione del Ddl ha innescato forti polemiche, motivate dall’impronta grandemente sicuritaria delle disposizioni che il Governo punta a introdurre. E in effetti, non si può negare che l’approccio è stato in questo caso, come in altri nel recente passato, orientato ad affrontare alcuni problemi reali esclusivamente con misure di tipo sanzionatorio.

Il testo prevede l’introduzione di oltre venti nuovi reati o circostanze aggravanti di reati già esistenti. Prosegue, quindi, il vizio di alimentare nei cittadini l’ansia di insicurezza - ansia spesso ingiustificata, considerato che i dati oggettivi sui reati non riportano alcuna recrudescenza della criminalità - e contemporaneamente di rispondere a quest’ansia sventolando aumenti di pena e introduzione di nuovi delitti. Quando si sa da sempre che le “grida” non hanno mai risolto veramente i problemi. Il tema lo conosce benissimo il ministro Carlo Nordio, che, prima di assumere l’incarico di Governo, ha scritto apprezzatissimi saggi sulla necessità di limitare il numero dei reati e di fuggire dal “panpenalismo”. E’ chiaro, però, che ciò che si dice in teoria, poi in pratica non è sempre facile realizzarlo.

Non è possibile in poco spazio dar conto, in dettaglio, delle nuove norme proposte dal Governo: alcuni esempi aiutano, però, a comprendere l’approccio.

Il Ddl introduce un’aggravante comune nel caso in cui un qualunque reato sia commesso nelle adiacenze delle stazioni ferroviarie o delle metropolitane, o all’interno dei convogli. E’ un’ipotesi piuttosto curiosa di “aggravante di luogo”: così, per esempio, il furto di un portafoglio dovrà essere punito con un terzo di pena in più se commesso in stazione o in treno. Per gli autobus, o al mercato, invece, non cambia nulla.

Viene introdotto, poi, un delitto punito molto gravemente - addirittura da due a sette anni - per chi occupa abusivamente una casa. Ora, l’occupazione abusiva degli alloggi è senz’altro un problema, frutto spesso, in alcune parti del Paese, anche della trascuratezza degli Enti proprietari di alloggi popolari: ma il problema della casa si risolve più efficacemente minacciando pene stratosferiche o cercando di aumentare i fondi per l’edilizia pubblica?

Molto contestate sono poi le norme “anti-proteste”: il Ddl introduce sanzioni penali per chi, anche con la sola resistenza passiva, e quindi con la sola protesta non violenta, provoca blocchi stradali o ferroviari; prevede un’ulteriore aggravante di pena in caso di resistenza a pubblico ufficiale se il fatto è commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica. Anche nelle carceri o nei centri di permanenza per gli stranieri è prevista una pena per le proteste, anche se realizzate in forma passiva.

Sono questi solo alcuni esempi di un’impostazione criticabile: se è chiaro che alcuni problemi ci sono, la risposta è inadeguata. I tempi della giustizia in Italia sono inaccettabili, e i Tribunali già traboccano di processi che non si riescono a celebrare in tempi ragionevoli. Si è proprio sicuri che con l’introduzione di questo catalogo di nuovi reati la società sarà più “sicura”? La realtà è che si è di fronte a un provvedimento “manifesto”, in cui è evidente che si vuol dare l’idea che “legge e ordine” sono gli obiettivi primari, pur sapendo che poi non si è in grado di intervenire sui meccanismi e soprattutto sulle risorse per cui questa legge e questo ordine possono concretamente essere garantiti.

Sollevano, poi, più di una perplessità le misure repressive contro le manifestazioni di protesta laddove sfocino in atti di resistenza anche solo passiva. E’ chiaro che a nessuno piace subire un blocco stradale: ma fino a che punto ci si può spingere per reprimere il dissenso (o anche solo, per esempio, la protesta di lavoratori licenziati davanti a una fabbrica) senza che ciò intacchi la vita democratica del Paese?

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