sabato, 07 settembre 2024
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Un nuovo cammino per l’Europa, finalmente centrale il ruolo del Parlamento

La candidatura di Ursula Von der Leyen è stata meno espressione del volere degli Stati (a cominciare da Francia e Germania, alle prese con una forte crescita dei partiti anti Ue entro i loro confini), e molto di più una questione gestita dai partiti, cioè i soggetti che hanno nel Parlamento il loro luogo privilegiato di confronto. Questo significa che la rappresentanza politica di livello sovranazionale ha, in qualche modo, sopravanzato quella di livello nazionale

La rielezione di Ursula Von der Leyen a presidente della Commissione europea, più che rappresentare un elemento di continuità col mandato precedente, nasconde, paradossalmente, una vistosa discontinuità.

Innanzitutto, la maggioranza che l’ha eletta è superiore a quella precedente (per l’apporto dei Verdi), ma questo è solo l’aspetto “visibile” della questione, perché a molti è sfuggito il fatto che, nella scorsa legislatura, la candidatura di Von der Leyen era stata fatta dal presidente francese Emmanuel Macron e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel (con corrispondente attribuzione della guida della Bce a Christine Lagarde) e sostanzialmente imposta agli altri Stati e al Parlamento stesso, peraltro non esente da colpe proprie. Parlamento che, scavalcato da questa manovra (il candidato del Ppe era Manfred Weber), rispose con una consistente quota di franchi tiratori.

Questa volta, invece, la candidatura è stata meno espressione del volere degli Stati (a cominciare da Francia e Germania, alle prese con una forte crescita dei partiti anti Ue entro i loro confini), e molto di più una questione gestita dai partiti, cioè i soggetti che hanno nel Parlamento il loro luogo privilegiato di confronto. Questo significa che la rappresentanza politica di livello sovranazionale ha, in qualche modo, sopravanzato quella di livello nazionale.

Per questo, il duplice ruolo esercitato da Giorgia Meloni (quello nazionale di capo del Governo e quello, sovranazionale, di capo del Partito dei conservatori e riformisti - Ecr) più che agevolarla, l’ha inchiodata al palo, e la furba ambiguità che era stata alla base della crescita dei suoi consensi, si è capovolta nell’incapacità di interpretare il nuovo corso politico.

L’Europa ha costretto tutti a scegliere se esserne parte attiva, oppure no: Meloni, forse, non ha capito che contava più il suo ruolo di rappresentante politico di livello europeo, e ha preferito far valere quello di capo di Governo italiano, cioè quello a lei più favorevole. Ma così, ha “perso il tram” di far parte della cabina di regia dell’Unione, rinviando la tutela dell’interesse nazionale a periodiche e complicate negoziazioni con una compagine politica che non le è amica. Probabilmente l’Italia non sarà discriminata, ma neppure favorita.

Il tutto, senza contare la frattura - troppo minimizzata e sottovalutata - tra gli alleati del Governo, giunti divisi all’appuntamento. Perché, oggi, il parametro di riferimento è molto meno quello ideologico di contrapposizione tra destra e sinistra (che, guarda caso, si sono divise entrambe al proprio interno), e molto più quello politico che separa chi è a favore e chi è contro l’Europa. Dunque, non sarà facile, per i partiti di maggioranza, trovare tra loro una linea politica condivisa.

Ora per l’Europa comincia un nuovo cammino che, tuttavia, non è né consolidato né irreversibile. Se la Commissione pensa di mantenere lo status quo, finirà per soffiare ancora sulle vele del populismo. Se, viceversa, darà il via a una riforma dell’Unione - attraverso una modifica dei Trattati e l’abolizione del diritto di veto - ponendo al centro la gestione comune della politica estera, della difesa, dell’ambiente, della crescita economica, utilizzando un bilancio autonomo, allora veramente si potrà pensare all’inizio di un nuovo cammino.

*presidente Movimento federalista del Veneto

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