sabato, 07 settembre 2024
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Rifugiati: i dati del report Unhcr presentati dal portavoce Filippo Ungaro

“Il tema va fatto uscire dalla propaganda. Non esistono soluzioni semplici”

Il tragico report mensile Unhcr evidenzia ancora una volta che a giugno il prezzo della diminuzione degli sbarchi di migranti nelle nostre coste è il picco dei morti e dei dispersi in mare. Libia, Tunisia e Turchia i punti di partenza di quelli che sono riusciti toccare terra!

E intanto i morti e dispersi lungo la rotta centrale salgono sono in media di quasi 5 al giorno dall’inizio dell’anno.

In un momento in cui la dialettica sull’immigrazione e dei fenomeni migratori è al centro del dibattito politico in Europa, la recente giornata mondiale dei rifugiati (20 giugno) - istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 2000 - ci ha ricordato ancora una volta che al centro ci sono sempre delle storie di vita. La cronaca ci ha riportato con maggior cinismo alle condizioni di sfruttamento e di vita ai margini della nostra società di chi fugge dal proprio Paese attraverso la tragica storia di Satnam Singh, il cittadino indiano morto dopo un incidente sul lavoro in un’azienda agricola a Latina. Indignazione che purtroppo è passata velocemente, come quella per le continue tragedie in mare (ndr, l’ultima a Roccella Jonica a metà giugno) di quanti cercano un futuro migliore da questa parte del Mare Nostrum. Sembriamo quasi assuefatti dinanzi a queste tragedie e stiamo inconsapevolmente naufragando sugli scogli dell’indifferenza. Poco contano quindi i distinguo semantico-normativi delle ‘etichette’ che assegniamo a seconda dei casi in migrante irregolare, profugo, richiedente asilo, clandestino o migrante interno.

I dati dell’ultimo rapporto Global trend, pubblicato dall’Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), sono perciò eloquenti. Il numero delle persone che scappa da paesi fortemente colpiti da guerre, cambiamenti climatici e povertà è raddoppiato nell’ultimo decennio. E allora per cercare di dare un volto ai numeri, di raccontare le storie di grave disagio che portano al muoversi, al migrare per seguire un futuro incerto ma sicuramente alternativo al presente, abbiamo intervistato il dott. Filippo Ungaro, portavoce Unhcrper l’Italia.

Scorrendo il Rapporto, un abitante della Terra su 70 non è libero di scegliere se restare o meno nel paese dove vive. Un numero di persone in fuga quasi raddoppiato negli ultimi 10 anni.

Abbiamo raggiunto un nuovo numero record: 120 milioni di persone in fuga da guerre conflitti violenze e persecuzioni. Oltre il doppio della popolazione dell’Italia. Se fosse una nazione, sarebbe la dodicesima al mondo per numero di abitanti. E invece una casa e una nazione, queste persone, non ce l’hanno. Tutto questo è frutto dell’aumento della conflittualità a livello internazionale e dell’incapacità della comunità internazionale di andare alla radice dei problemi. Se non si rispetta il diritto internazionale, se non si tutela adeguatamente la popolazione civile durante un conflitto e se non si promuove in maniera decisa lo sviluppo dei paesi più fragili, e che tra l’altro spesso ospitano la maggior parte dei rifugiati del mondo, ben il 75%, faremo fatica a vedere una diminuzione nei prossimi anni. Ricordava bene che il numero delle persone in fuga è raddoppiato negli ultimi 10 anni. Tutto questo ci preoccupa enormemente. Tanto più che le risorse a disposizione non sono adeguate ai bisogni nuovi e vecchi...

Parlava di bisogni nuovi e vecchi. Potrebbe farci qualche cenno per non cadere nell’oblio?

Ci sono crisi che durano da decenni come in Siria, la più grande crisi di rifugiati al mondo con quasi 14 milioni di persone costrette a scappare dalle proprie case, la guerra dura da oltre 13 anni. Per non parlare poi dell’Afghanistan, da dove viene una delle maggiori popolazioni di rifugiati al mondo, che continua a vivere una situazione di profonda insicurezza e che ha subito nel corso degli anni, in fasi alterne, e grosso modo regolari, conflitti di vario tipo. Nonostante questo aumento delle situazioni di conflittualità che, come dicevo, vanno affrontate urgentemente, la protezione di chi fugge, abbandonando la propria casa, i propri cari, affrontando viaggi pericolosi, deve rimanere una priorità per tutti. Oggi più che mai bisogna stare dalla parte dei rifugiati, bisogna far sentire la nostra solidarietà. A partire, mi faccia sottolineare, dalla narrazione che si fa di questo fenomeno.

Ci spieghi meglio. Quale legame tra rifugiati e dibattito civile?

Troppo spesso il rifugiato viene associato alle parole problema, poveraccio, delinquente. E’ ora di cominciare a dire le cose come stanno e a far uscire questo tema, indubbiamente complesso, dalla propaganda politico elettorale. Non esistono semplici soluzioni qui, ci vuole impegno, volontà politica, risorse, e un approccio pragmatico. Il mondo occidentale, l’Europa, l’Italia sono in crisi demografica. Chi pagherà le pensioni dei nostri figli? Chi animerà le scuole di molti posti di provincia? Eppoi, tutto il mondo economico-imprenditoriale accusa un gap tra domanda e offerta di lavoro. Non si trovano lavoratori in pratica. E allora? Perché non riportare le cose nella loro giusta dimensione e affrontare le cose con spirito e approccio pragmatico?

Dietro ai numeri si nascondono innumerevoli tragedie umane. Quali sono i principali fattori di queste migrazioni “forzate”?

Questo non bisogna mai scordarlo. Uomini donne bambini. Cerchiamo di immaginarcelo per un attimo. Una bomba sulla casa. Gli ospedali non funzionano più o lo fanno a fatica. Le scuole vengono prese di mira. Amici, parenti, conoscenti muoiono. Si molla tutto e si fugge con quello che si ha addosso, affrontando viaggi spesso al limite della sopravvivenza. Pericolosi, sfinenti. Ci si affida a trafficanti di esseri umani. Le donne, anche minorenni, spesso subiscono abusi e violenze. Questo è quello che c’è dietro ai numeri. Persone, esseri umani. Tragedie che non avranno mai fine se, come dicevo prima, non si va alla radice dei problemi. Ho sentito storie di donne arrivate a Lampedusa raccapriccianti. Perché, mi chiedo, permettiamo tutto questo? Nessuno di loro vuole abbandonare la propria casa. Sono costretti a farlo a causa delle guerre. La maggioranza rimane sfollata all’interno del proprio Paese, cercando luoghi sicuri che non sempre si trovano, a dimostrazione del fatto che nessuno desidera andar via se non costretto. Molti altri fuggono in altri Paesi, spesso limitrofi a quelli delle crisi. E troppo spesso nei paesi a basso e medio reddito, che già fanno fatica a garantire i servizi essenziali ai propri cittadini.

Iran e Pakistan da un lato, Turchia e Libano dall’altro ospitano due delle popolazioni di rifugiati che ci ha indicato come tra le più numerose: afghani e siriani. Queste sono anche le principali nazionalità di persone che cercano protezione nell’Ue. E’ ipotizzabile per loro un’accoglienza in Europa?

Sembra incredibile eppure è così, e sfido molti a indovinare i Paesi che ospitano il maggior numero di rifugiati: l’Iran ne ospita quasi 4 milioni, la Turchia 3,3, la Colombia 2,9, il Pakistan 2. Solo la Germania ospita un alto numero di persone: 2,6 milioni. E come detto, il 75% dei rifugiati viene generosamente ospitato da Paesi a basso e medio reddito, spesso limitrofi a quelli delle crisi. Prendiamo il Sudan. Quanti ricordano che da oltre un anno c’è una guerra che ha prodotto oltre 10 milioni di sfollati, interni e fuori del Paese? E anche se qualcuno comincia ad affacciarsi alle nostre coste, molti sono in Ciad, Repubblica Centrafricana, Sud Sudan, Etiopia, Egitto. Tutti Paesi confinanti. E allora non solo è ipotizzabile un’accoglienza maggiore dei rifugiati in Europa, ma è doverosa. Troppo spesso da noi in Occidente si grida all’invasione. Ma guardiamo il dito e non la luna. Nessuno nega che le sfide della gestione delle migrazioni siano complesse, ma si perde di vista il quadro complessivo. E la necessità di una maggiore responsabilità condivisa. La pressione sui paesi più fragili, come dicevo molto generosi nell’accogliere nonostante le difficoltà, non può continuare per anni e anni. I problemi che oggi vogliamo tenere lontani da occhi e cuore, si riaffacceranno presto ai nostri confini se non interveniamo per aiutare e sostenere lo sviluppo delle nazioni più fragili che ospitano il maggior numero di rifugiati. E torniamo con forza al multilateralismo, troppo indebolito.

Ci ha ricordato come tre rifugiati su quattro, nonostante la guerra in Ucraina scoppiata nel febbraio 2022 abbia portato alla più rapida crisi da sradicamento forzato dalla seconda guerra mondiale, continuino ad essere ospitati in Paesi a basso o medio reddito. Respingimenti forzosi e muri non sembrano essere un deterrente per fuggire dal proprio Paese?

Mi chiedo sinceramente servire a cosa e a chi. Chi scappa teme per la propria sopravvivenza e cerca la sua salvezza e quella dei propri cari. Dice che sappiano o gli interessa che da qualche parte c’è un muro che li fermerà? Dice che si scoraggino per questo? L’approccio deve essere completamente diverso. Serve gestire il fenomeno, non subirlo. Possiamo mettere dei tappi ma se, come dicevo, non si risolvono le cause profonde di questi fenomeni migratori forzati, è un po’ come cercare di fermare una cascata con una mano. La soluzione è un’altra: multilateralismo, risoluzione dei conflitti in maniera pacifica, supporto allo sviluppo dei Paesi fragili, soluzioni lungo la rotta migratoria con l’ausilio di Paesi terzi, vie sicure e legali. E soprattutto integrazione e inclusione: lavorativa, educativa, sociale. Che significa dignità per i rifugiati che possono impostare una nuova vita dignitosa. E significa, per una comunità ospitante, saper valorizzare e mettere a frutto i loro talenti e competenze.

I profughi e i rifugiati sono donne e uomini invisibili le cui esistenze sono spesso in ostaggio della burocrazia e della criminalità. La comunità internazionale può fare di più per evitare che vengano calpestati i diritti di queste persone?

Sì, come detto molto si può e si deve fare. In occasione della recente Giornata Mondiale del Rifugiato abbiamo ospitato al nostro evento il Cardinale Zuppi che ha detto una cosa molto importante: se si attaccano i diritti dei rifugiati, prima o poi si mettono in discussione i diritti di tutti. Perché tutti noi possiamo diventare persone in fuga. Basti pensare alla vicina e “occidentale” Ucraina. Da un giorno alla notte, nella quasi incredulità, milioni di persone sono state costrette ad abbandonare la loro vita e a cercare salvezza altrove. Di fronte a questo nuovo numero record di 120 milioni di persone in fuga nel mondo, ora più che mai è necessaria piena solidarietà per i rifugiati!

E infine. Crisi climatica e sfollamenti di massa: un triste connubio?

L’impatto del cambiamento climatico è devastante e molto spesso diventa una concausa della fuga che si unisce ai conflitti e alla violenza. I trequarti delle persone in fuga nel mondo provengono da Paesi con un’esposizione elevata o estrema ai rischi legati al clima. E’ il caso del già citato Sudan per esempio. Dove si alternano siccità e alluvioni – il terreno diventato troppo duro a causa della siccità non assorbe più l’acqua delle piogge tropicali causando alluvioni. I raccolti vengono quindi distrutti da entrambi i fenomeni, incrementando la povertà e le grandi difficoltà per un Paese in guerra. Il clima può inoltre rendere più scarse le risorse, come l’acqua. E un conflitto può scoppiare o aggravarsi proprio per l’accesso alle risorse naturali. Ecco come il clima diventa concausa sempre più importante della fuga.

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