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Il vincitore azzoppato

Matteo Renzi si è preso la briga di provocare una crisi di governo, sbagliando nei tempi e nei modi. La domanda che molti si pongono è che cosa volesse davvero. Di sicuro visibilità politica e rimanere l'ago della bilancia. Soprattutto, però, discontinuità nell'azione di governo e scalzare Conte da Palazzo Chigi. Alla fine ha dovuto prendere atto della determinazione con cui 5S e Pd hanno preferito scaricare lui piuttosto di Conte

21/01/2021

Quasi nessuno è riuscito a capire il motivo per cui Matteo Renzi si sia preso la briga di provocare, proprio ora, una crisi di governo.

Le istanze e le critiche all’azione governativa di Giuseppe Conte ci stavano tutte, erano condivise anche dal Partito democratico. Inspiegabilmente, però, ha sbagliato tempi e modo.

Bisogna convenire che Renzi è uno dei pochi in Italia ad avere caratura politica e doti da leader. Ha carisma e, indubbiamente, capacità e numeri da vendere, fiuto politico, scaltrezza e spregiudicatezza.

Si dice che per questo Silvio Berlusconi lo avrebbe visto volentieri come leader perfetto di Forza Italia.

Simili caratteristiche, se unite a un marcato narcisismo, possono, però, portare a forme più o meno autocratiche di gestire il potere e le stesse relazioni tra alleati e amici di partito, considerati più come gregari che partner o colleghi.

Questo è il modo standard di agire dei moderni leader carismatici e populisti che stanno imponendosi nel mondo e Renzi non è certo da meno: da capo del Governo e segretario del Pd ha replicato, a suo modo, lo stesso cliché che abbiamo visto per 20 anni utilizzato da Berlusconi.

Le motivazioni di Renzi

Renzi, nelle molteplici apparizioni televisive dei giorni scorsi, ha ribadito più volte i motivi per cui ha staccato la spina al Governo, oltretutto non facendo mai mistero della propria avversione, puntualmente ricambiata, verso il presidente Conte che vorrebbe fuori da palazzo Chigi.

Anzitutto, il protagonismo esagerato del premier il quale, approfittando della pandemia, starebbe guidando il Paese in modo per niente democratico, arrogandosi, come avrebbe voluto Matteo Salvini, pieni poteri. E poi per il disaccordo sul “Recovery plan”, ossia il nostro piano nazionale per l’utilizzo degli oltre 200 miliardi tra sussidi (81) e prestiti (127) messici a disposizione dall’Unione europea per arginare l’impatto devastante del coronavirus (il cosiddetto “Recovery fund” o “Fondo di recupero”, più propriamente “Next generation EU”).

Vista la drammatica situazione sanitaria ed economica in cui ci troviamo, alla maggior parte della gente queste sono sembrate motivazioni inopportune o pretestuose. La domanda che molti si pongono è che cosa volesse davvero Renzi. Di sicuro, visibilità politica e rimanere l’ago della bilancia. Soprattutto, però, discontinuità nell’azione di governo e scalzare Conte da Palazzo Chigi.

Ora, dopo l’apertura della crisi, Italia Viva manda al Governo segnali di disponibilità (come l’astensione nel voto di fiducia). Essere sostituita in Parlamento da altri parlamentari, “volenterosi” o “costruttori”, per i quali Conte sta dandosi un gran da fare, significa per Renzi rimanere, almeno per il momento, fuori da tutti i giochi di potere, con il rischio di diventare politicamente insignificante. Forse ha osato troppo e fatto male i suoi calcoli. Alla fine, ha dovuto prendere atto della determinazione con cui 5S e Pd hanno preferito scaricare lui piuttosto di Conte e che, comunque, in Parlamento il Governo ha trovato chi era disposto a votarlo.

Un Conte ridimensionato

Conte, pur avendo rappresentato in questi due anni un sostanziale elemento di equilibrio, tuttavia nell’azione di governo ha fatto troppo di testa sua, convinto, forse, che nell’attuale congiuntura politica e sanitaria, nessuno avrebbe osato mettere in seria difficoltà il suo Governo o tentare di sfilargli la poltrona di palazzo Chigi. Anch’egli, però, ha sbagliato a fare i calcoli, perché sulla sua strada c’era il rottamatore Renzi.

Con la piena fiducia ottenuta alla Camera e quella un po’ al cardiopalma al Senato, la crisi è stata per ora superata, ma non scongiurata perché, non avendo il Governo una maggioranza politica stabile, i numeri dovrà continuamente andarseli a cercare, soprattutto nelle Commissioni. Alla fine Conte, per le sue rigidità e per l’indisponibilità a trattare con Renzi, è andato allo scontro e così si è cacciato in questo tunnel. Dalla crisi esce certamente con la fiducia del Parlamento, ma assai ridimensionato e con un Governo più fragile e insicuro di prima.

La situazione del Pd

Nel Pd permane sempre la preoccupazione di non rimanere schiacciato su Conte e i 5S e di dover subire un ulteriore ridimensionamento, qualora il premier decidesse di dar vita a un suo soggetto politico. Per il momento Zingaretti, senza colpo ferire, ha portato a casa alcuni impegni presi dal premier di fronte alle Camere: delegare qualcun altro ai servizi segreti, legge elettorale proporzionale, rimpasto di Governo, modifiche al Recovery plan. Ossia quelle istanze e contestazioni di Renzi su cui Conte aveva sempre glissato e per le quali, paradossalmente, si è andati alla crisi. Alla fine Renzi, oltre ad aver dato indirettamente una mano a Zingaretti, anch’egli insofferente verso Conte, si è trovato anche scaricato dagli ex amici e compagni del Pd, i quali non gli hanno mai perdonato di aver spaccato nel 2019 il partito, portandosi via 45 parlamentari. Nell’occasione gli hanno reso la pariglia e spento i bollori. Anche se, come è molto probabile, prima o poi con Renzi dovranno ritornare a trattare, per evitare che il Governo in Parlamento rimanga impantanato sui numeri.

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