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La società dell’autoscontro

Marco Paolini ha chiuso la 30ª edizione di Giavera Festival, ricca di incontri. “E’ necessario dialogare anche con chi la pensa in modo diverso”
12/07/2024

Non ci sarebbe alcun gelo da sciogliere, ma lui, Marco Paolini, alla domanda di don Bruno Baratto, spara la prima battuta: “Sono in confessione, oppure...?” E la risata del pubblico parla di empatia.

Siamo all’ultimo incontro del 30° Festival di Giavera, alla conversazione dal titolo “Ur...Gente! Resistenze necessarie”, domenica 7 luglio in villa Wassermann, in una giornata che è stata piena di incontri. Il clima è clemente, la serata arieggiata e l’artista bellunese-trevigiano deve avere un fremito di gioia quando dal palco alza lo sguardo su quella fiumana di persone a perdita d’occhio. Ma continua con la burla nella sua cadenza tipica trevigiana: “C’è Balasso da qualche parte? L’ultima volta che ho tentato di dire qualcosa di serio, lui buttava tutto in vacca”.

Il pubblico è già dei suoi e ora lo lascia dire che è facile rivolgersi a quanti hanno le stesse idee, a chi si aspetta quello che vuole sentire e che c’è paura di rivolgersi a chi la pensa in modo diverso: paura e impazienza causate dal rancore.

E’ necessario, invece, intrecciare un dialogo con chi ragiona diversamente. Silenzio attento: il parco si cela pian piano nella notte, accarezzato da una musica etnica in lontananza.

Paolini, come un fiume che scorre tranquillo, cita una sua collaborazione con militari di estrema destra rivoltisi a lui per raccontare la verità dell’uranio impoverito, uomini sostenuti dalle Istituzioni e lasciati nel pantano nel momento più complicato, quando c’era da ammetterne l’uso in Kosovo. Se c’è qualcosa di necessario da fare ci si mette insieme, tutti, e si porta a termine l’opera senza parlare massa. Eh, sì qualche parola in dialetto ci vuole per usare il linguaggio del vicinato, per scendere nel profondo e tirare su emozioni.

Ora è il momento giusto per richiamare i riferimenti del passato: quali erano le giostre preferite? Quella a catenelle oppure l’autoscontro? Il passaggio è facile. Nell’autoscontro si colpisce a caso senza fatica, senza un vero obiettivo, se invece ti metti in gioco con le catenelle e devi pigliare la famosa coda, allora scopri che serve essere attivi, impegnarsi, lavorare per la soddisfazione del risultato. Oggi siamo nell’epoca dell’autoscontro: soli, avanziamo con passi incerti, osserviamo la società camminare veloce, le cose attorno a noi cambiare presto. E allora acceleriamo il passo, mettiamoci insieme per dire no a quello che non va bene, sapendo che dopo il no deve arrivare un progetto reale per il cambiamento.

E finalmente, anche punzecchiato da don Bruno, che è presidente di Giavera Festival, arriva a quello che sembra essere il nocciolo della serata, il suo pensiero più forte: l’acqua, risorsa di tutti, tra i beni comuni con il sogno di uno status costituzionale, come da proposta di Stefano Rodotà, come dagli appelli di Alex Zanotelli.

Tutto inutile. L’acqua, invece, viene estratta dal territorio, buttata in mare per “bonificare” il terreno e costruirvi sopra case e altre case. In Italia ci sono circa ottocento idrovore, di queste la metà si trova in Veneto, e noi veneti siamo molto attivi nella trasformazione del paesaggio, secondi in Italia con quasi il 12% contro il 4% della media europea.

Nel vicentino, però, hanno capito, si sono dati da fare, hanno costruito i “Pozzi bevitori”: cilindri di due metri di diametro, profondi dai cinque a nove metri, in cui viene incamerata l’acqua e inviata nelle falde. E’ il progetto Life Aquor, cofinanziato dall’Europa. Mettersi insieme per realizzarne un bel numero anche nel trevigiano, e attorno al pozzo costruire un luogo di ritrovo? Forse trovandoci insieme possiamo superare il timore di affrontare il rancore del quale ognuno si porta dentro una quota.

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