sabato, 07 settembre 2024
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Dante e la moschea lontana

L’intervento di Gian Domenico Mazzocato: inutile polverone per la decisione di non far leggere la Commedia ad allievi musulmani

Credo che non esistano argomenti che non possano essere affrontati in classe. Il caso della professoressa che ha obliterato (preferisco questo termine, censura è altra cosa) Dante, si presta a molte considerazioni. Io vidi un, così non si pertugia, / rotto dal mento infin dove si trulla. Canto 28 dell’Inferno dantesco, tra i seminatori di discordie. La nona delle Malebolge. Ma è tutto in questa oscena rappresentazione di Maometto il rapporto tra Dante e Islam? Dante conobbe quasi certamente il Liber Scalae. Narra la miraj, cioè la leggendaria ascesa del Profeta, che giunge al trono di Dio dopo aver attraversato le sfere celesti. Come nel Paradiso dantesco. Gloria a Colui che di notte trasportò il suo servo dalla Santa Moschea alla Moschea Lontana per mostrargli qualcuno dei nostri segni. E’ l’impetuoso esordio della sura 17 del Corano, nota come Il viaggio notturno. Una sura dal tono fortemente profetico (versetti 4-7). La leggenda nasce qui e molti vi si ispirarono. Soprattutto, in un suo poema, Ibn Arabi (muore nel 1240. Uno dei più grandi mistici e visionari di ogni tempo, per l’orientalista Henry Corbin).

Testo perduto, ma ne abbiamo la versione in castigliano, redatta nel 1264 da Abraham Alfuquim, medico ebreo alla corte di Alfonso X il Savio. Bonaventura da Siena, personaggio di cui quasi nulla sappiamo, ne trasse due versioni, una in latino (appunto Liber Scalae) e una in francese antico. Già l’orientalista spagnolo Miguel Asin Palacios (1871 - 1944) vi aveva ravvisato, agli inizi del Novecento, una delle principali fonti della struttura della Commedia. Forse attraverso Brunetto Latini, autore di un testo fondamentale della cultura medievale, il Tresor, e maestro di Dante. Era stato ambasciatore di Firenze proprio presso Alfonso il Savio. E di recente Maria Corti ha evidenziato sorprendenti analogie.

No. I terreni minati su cui è vietato avventurarsi non esistono. Niente argomenti proibiti, anche i più scabrosi. A volte paga l’accostarli sul versante della complessità e della ricchezza di implicazioni, invece che semplificare (che spesso vuol dire banalizzare). Serve spiegare, discutere, illustrare, contestualizzare, indicare direzioni in cui approfondire. Ogni momento va trasformato in occasione per includere e coinvolgere. Il discorso dei rapporti tra Islam e Dante è ricco e fertile. E’ lo stesso Dante, ricordiamolo, che condanna, con inaudita ferocia, tutti i papi a lui contemporanei alle fiamme infernali. Perfino Benedetto Caetani, papa Bonifacio VIII, che nell’anno in cui viene immaginato il viaggio dantesco, il 1300, ancora papa non è. E addirittura il mite Pietro Angelerio, cioè Celestino V, se è lui a celarsi dietro il gran rifiuto fatto per viltade (cosa di cui non sono personalmente convinto).

Forse la professoressa ha perso un’occasione. Il focus non è su Dante, è piuttosto sulla funzione docente, sul ruolo dell’insegnante. Su Dante è facile alzare il polverone. Dante non si tocca, Dante è il padre della letteratura italiana (a rigore non è vero, ma va bene lo stesso): tutti dantisti ferventi e convinti. Mi chiedo quanti, tra quelli che hanno alzato il vessillo del Sommo, lo conoscano davvero. Magari anche superficialmente. Le fragilità, il tormento creativo, il rovello di una utopia politica nata già morta e sterile, la ricerca di una lingua utile a comunicare. Sono le legioni di coloro che cercano di “attualizzarne” il pensiero. Talora sorrido, talora mi struggo per il disappunto.

Sì, credo un’occasione perduta. Nella mia esperienza di insegnante ho sempre provato a spiegare. Ho insegnato a porre (e a porsi) domande. In nome di una incrollabile fiducia nella parola pronunciata, scritta e letta. E fiducia nell'intelligenza di tutti.

E, tuttavia, non ravviso alcunché di scorretto nel comportamento tanto criticato. L’insegnante non ha “creato un buco”. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. E’ il perentorio incipit dell’articolo 33 della Costituzione. In piena libertà e diritto, ha fatto una proposta didattica alternativa. E che proposta. Boccaccio, il padre di tutta la prosa della cultura occidentale. Un gigante. Basterebbe leggere l’ultima novella di quella epopea dell’umana intelligenza che è il Decameron. La vicenda di Griselda e del marchese di Saluzzo. Un’epoca, una civiltà, una cultura. Il Medioevo alle cui porte bussa la sontuosa stagione dell’Umanesimo e del Rinascimento.
E’ importante sottolineare che stiamo parlando di scuola media inferiore e non di liceo (in cui Dante è curricolare). Per il Duecento e Trecento, la chiave-Dante vale quanto la chiave-Boccaccio. Anzi, sono due “chiavi” complementari, si integrano a vicenda. L’insegnante (che già aveva avuto avvisaglie con alcune famiglie), ha cercato (con rispetto e perfino con eleganza) di disinnescare una potenziale polemica. Ha chiesto se Dante creava problemi. E ha elaborato una strategia alternativa. So bene quanto gli insegnanti siano sempre l'ultimo anello della catena, il capro su cui si scarica tutto. Sono soli e fragili. Non solo mal retribuiti. Se incappano in qualche disavventura, devono pagarsi le spese legali. Succedono queste cose e subito si è bersaglio di una ispezione. Non c'è un sistema cui appoggiarsi e da chiamare in soccorso. Occasione perduta, ma gestione della situazione corretta e perfino condivisibile.

Mi preme una sottolineatura. In questo insorgere e scoprirsi tutti dantisti è la fragilità della nostra cultura. Alziamo scudi, barriere e slogan (soltanto slogan, nulla di più) perché basta un buffetto di qualcuno per scoprirci vulnerabili e impreparati. Non un pugno, solo un buffetto. Diciamolo, ignoranti e approssimativi. Giochiamo in difesa, non abbiamo strategie. Così, polemiche vuote come questa, sono alibi utili e comodi. E dobbiamo stare molto attenti, perché è qui, sull’ignoranza, che mettono radici e succhiano linfa le paure. E’ sulle omofobie, sui razzismi, sugli “esorcismi” pronunciati contro ogni diversità, sulle “non normalità” che nascono e costruiscono la loro fortune i disegnatori di inaccettabili mondi alla rovescia.

Lo scrittore trevisano Gian Domenico Mazzocato, allievo a Padova del grande dantista veneziano Giorgio Padoan, si occupa da sempre di critica dantesca. È autore di “Ti racconto la Divina Commedia”, tra i libri più venduti nel centenario dantesco. Ha scritto saggi e articoli. Molte delle sue conferenze dantesche sono nel sito www.giandomenicomazzocato.it. È tra i curatori della mostra “Dante icona pop” (Treviso, 2023, con manifesti della collezione Salce e pezzi della sua collezione di iconografia dantesca). È socio della Dante Alighieri di Treviso.

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