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Aldo Moro: "Poteva essere salvato", alla luce dei nuovi documenti

Un lavoro che ha prodotto mille pagine di documentazione, “approvate all’unanimità”, in grado di “mettere alcuni punti fermi”. Così l’on. Giuseppe Fioroni, presidente nella scorsa legislatura della Commissione Bicamerale sul rapimento e la morte di Aldo Moro, fa il punto sui lavori di tale Commissione. “A cominciare - spiega - dal fatto che il cosiddetto memorandum Morucci-Faranda invece di svelare, ha tombato molte verità, rivelando solo ciò che era possibile e conveniente dire”.

04/05/2018

Un lavoro che ha prodotto mille pagine di documentazione, “approvate all’unanimità”, in grado di “mettere alcuni punti fermi”. Così l’on. Giuseppe Fioroni, presidente nella scorsa legislatura della Commissione Bicamerale sul rapimento e la morte di Aldo Moro, fa il punto sui lavori di tale Commissione. “A cominciare - dice - dal fatto che il cosiddetto memorandum Morucci-Faranda invece di svelare, ha tombato molte verità, rivelando solo ciò che era possibile e conveniente dire”.
Il leader democristiano poteva probabilmente essere salvato. Spiega Fioroni: “Ad esempio, non si seppero leggere le direttive strategiche delle Br e le informazioni del centro Sismi di Beirut. Le Br avevano parlato di attacco al cuore dello Stato. Moro era il cuore della Dc, la mente pensante di un processo di rigenerazione della democrazia italiana. E i riformatori sono sempre stati i nemici dei terroristi. Il Sismi, da Beirut, ancora il 17 e 18 febbraio 1978 aveva avvertito del tentativo di un atto eclatante in Italia. Questo avrebbe dovuto portare a una protezione maggiore”. Oltre a tutto, “il rapporto consolidato tra Palestinesi dell’Olp, terrorismo internazionale e Brigate Rosse” viene ulteriormente accertato dalla Commissione, così come l’esistenza di solidi “canali di comunicazione tra i Palestinesi e i nostri servizi, attivati dal 23 aprile 1978 per arrivare a uno scambio di prigionieri, proprio con i Palestinesi”. L’operazione forse si bloccò per l’intervento dei servizi dell’Est, con i quali intratteneva rapporti Mario Moretti. Altro elemento inquietante: “C’erano molte forze che avrebbero potuto sapere e capire, e non hanno saputo o voluto sapere e capire. Interessante, per esempio, la composizione del condominio di via Massimi 91, dove avvenne il primo scambio di auto dopo il sequestro. Ci abitavano tra gli altri faccendieri libici e iraniani, società di intelligence Usa, esponenti di Autonomia come Piperno, il brigatista Gallinari tornò nel condominio tra ottobre e dicembre... Nessuno vide, in quello strano condominio”.
Infine, “abbiamo fatto le prove nel garage di via Montalcini, con una R4 dell’epoca, per capire come fu ucciso Moro. Le cose non andarono come ci è stato raccontato nello pseudo memorandum Morucci, non c’era lo spazio. Chi uccise Moro lo fece guardandolo negli occhi”. Fioroni presenterà il prossimo 10 maggio al Salone di Torino il volume “Moro, il caso non è chiuso. La verità non detta” (edizioni Lindau), scritto assieme alla giornalista Maria Antonietta Calabrò.

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