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Tregua a Gaza: ora una pace stabile

Nei primi giorni della settimana ha “tenuto” il fragile accordo raggiunto tra Israele e Hamas. Intervista al Custode della Terra Santa, padre Francesco Patton, che esorta anche i pellegrini a tornare
23/01/2025

“Speriamo che la tregua si stabilizzi, si trasformi in un vero e proprio processo di pace, a Gaza e in tutta l’area, e apra la strada a una soluzione politica della questione palestinese”.

Il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, osserva speranzoso quanto sta accadendo a Gaza, in Israele e in Cisgiordania, dopo l’entrata in vigore della tregua tra Israele e Hamas, frutto di un accordo mediato da Usa, Egitto e Qatar, che prevede, tra i vari punti, anche il rilascio degli ostaggi israeliani in cambio della liberazione di detenuti palestinesi. Il frate è consapevole che “la fine della guerra non significa la fine del conflitto”, ma ribadisce la necessità di “affrontare alle radici, in modo serio e credibile, le questioni profonde che stanno all’origine di questo conflitto da troppo tempo”.

Padre Patton, come ha accolto le immagini della liberazione dei primi ostaggi israeliani e dei detenuti palestinesi?

Vedere ostaggi israeliani e detenuti palestinesi, tra loro donne e bambini, tornare a casa, fa davvero piacere. Ho visto in quelle immagini quasi un compimento di uno dei “segni” del Giubileo, la scarcerazione dei prigionieri. Certamente un segno “inconsapevole”, messo in atto dai due contendenti. Vorrei che Dio Padre mettesse dentro il cuore e la mente di chi ha responsabilità politiche, da una parte e dall’altra, molti altri segni giubilari inconsapevoli, soprattutto una qualche forma di disponibilità alla ricostruzione e alla riconciliazione. Uno dei segni giubilari era anche la restituzione delle terre. Che si imparasse a riconoscere che la terra è di Dio, che la dona ai suoi figli e figli lo sono sia gli israeliani che i palestinesi.

Non pare che i responsabili politici da lei poc’anzi richiamati stiano mostrando una volontà seria di pace, è d’accordo?

Non riscontro nelle componenti politiche di ambedue le parti lo stesso desiderio di pace che noto in tanta gente di qui. Però, vedo anche che chi governa sa bene che la pressione “esterna” spinge verso il negoziato di pace. In questo momento, sia il Governo israeliano, sia i capi di Hamas sentono la pressione di Usa, Ue e Paesi del Golfo, per andare in questa direzione. Spero che questa pressione si mantenga inalterata e che i tempi lunghi di queste tre tappe previste dall’accordo aiutino a elaborare un piano per il futuro dell’area, che, al momento, appare ancora molto vago.

Il secondo mandato presidenziale di Trump, appena iniziato, potrebbe favorire questo processo?

L’ingresso di Trump alla Casa Bianca potrebbe favorire il mantenimento della tregua, la soluzione politica del conflitto e la ripartenza degli accordi di Abramo. Per finalizzare gli accordi di Abramo occorre che ci sia pace tra Israele e Arabia Saudita, Paese che ha sempre posto come condizione il riconoscimento, da parte israeliana, della Palestina in una forma statuale. Allo stesso modo, i palestinesi devono riconoscere il diritto all’esistenza di Israele. Le lancette della storia non si possono riportare indietro.

La tregua a Gaza può favorire la ripartenza dei pellegrinaggi?

È il momento di tornare: siamo nell’Anno del Giubileo e già adesso ci sono le condizioni per venire in pellegrinaggio in Terra Santa in modo tranquillo. Papa Francesco ha indicato il Santo Sepolcro a Gerusalemme, l’Annunciazione a Nazaret e la Natività a Betlemme come santuari giubilari per tutta la Chiesa universale. I luoghi di pellegrinaggio sono tutti accessibili, sia quelli in Israele che in Palestina, come Betlemme, Gerico ed altri. Stanno riprendendo anche i voli e le rotte sono sicure. È importante che i cristiani tornino e tornino prima di Pasqua, per dare un segno di vicinanza alla Chiesa e ai cristiani locali.

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