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Testimonianza a Camposampiero: Vera Vigevani Jarach, nipote e madre di desaparecidos

La storia di una donna che ha perso il padre ad Auschwitz, e durante il regime dittatoriale in Argentina del 1976, sua figlia. La forte testimonianza alle scuole di una delle “madres de plaza de Mayo". 

Il 27 gennaio è la giornata della memoria ma alcune classi degli Istituti superiori di Camposampiero, Pertini e Newton, hanno anticipato la riccorrenza a venerdì 22 perché hanno avuto l’eccezionale occasione di ascoltare “la storia in diretta”, potendo ospitare Vera Vigevani Jarach, una delle madres de plaza de mayo di Buenos Aires. Con il passo segnato dai suoi quasi 88 anni e occhi stanchi, ma il piglio ancora vivace e l’immancabile fazzolettone bianco, Vera ha raccontato ad una platea di attentissimi studenti la sua vita segnata da due storie: “Mio nonno è rimasto in Italia e l’hanno preso, portato ad Auschwitz, ammazzato senza sepoltura. Tanti anni dopo, in un altro Paese, in altre circostanze, mia figlia, anche lei, la prendono, la portano in un campo di concentramento, viene uccisa coi «voli della morte», nessuna tomba anche in questo caso”. Vera, che si definisce “militante della memoria” ha raccontato la sua storia di bambina ebrea, nata nel 1928, che ha dovuto fuggire dall’Italia a causa delle leggi razziali “e la prima cosa che è toccata a me è la cacciata da scuola. Ma mio padre diceva: “Qui in Italia non capiterà niente”, mia madre invece è stata molto intelligente e ha deciso di partire”. Chi è rimasto è stato deportato ad Auschwitz.
In Argentina, dove per tantissimi anni è giornalista per l’Ansa latinoamericana, sposerà Giorgio Jarach e da cui ha un’unica figlia: Franca. Ma come una nemesi la storia si ripete; nel ’76 Videla, a capo dei militari, prende il potere e instaura una feroce dittatura che reprime qualunque voce di dissenso; Franca, rappresentante degli studenti del suo liceo, sparisce il 26 giugno 1976. E Vera allora indossa il fazzolettone bianco che è diventato il simbolo delle madri argentine che vogliono sapere la verità sui loro figli “desaparecidos”. Solo molti anni dopo, caduta la dittatura Vera seppe che Franca era stata torturata all’Esma (una scuola militare) e poi fatta sparire in uno dei terribili “voli della morte”, voli di piccoli aerei che scaricavano nel Rio de la Plata i “desaparecidos”, spesso ancora vivi. “Ho saputo il destino finale di mia figlia circa 13 anni fa, da una donna che era stata sequestrata nella stessa epoca, che la conosceva e che aveva potuto parlarle e mi ha raccontato che Franca era intera, non aveva perso la sua personalità, era se stessa, coraggiosamente se stessa, aveva conservato persino il senso dell’umorismo!”.
Ora il senso della vita di Vera sta nelle due parole: “¡Nunca Más!”, che non accada mai più!. “L’ importante è essere coscienti e attenti, intelligenti e sapere reagire a tempo - si rivolge ai ragazzi -. Io ci credo e spero ci crediate anche voi. Io ho da molti anni un impegno grande, che è conservare non solo la memoria di mia figlia, ma di avere giustizia, sapere la verità, e soprattutto trasmettere una memoria che serva per il futuro!”. Applausi interminabili e molti occhi lucidi hanno salutato la testimonianza di questa donna forte. 

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