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Non è un’attenzione occasionale quella della Chiesa sul tema dell’intelligenza artificiale e la pubblicazione di un documento esplicitamente dedicato al tema è l’ulteriore conferma dell’accelerazione della rivoluzione digitale che sta caratterizzando questo cambiamento d’epoca.
La novità della nota Antiqua et nova consiste nel riconoscere il rilievo antropologico e soprattutto etico, dell’utilizzo delle nuove tecnologie basate sugli algoritmi, che rilanciano le grandi domande di senso: Che cosa fa di un essere umano un uomo? La sua intelligenza è solo una capacità razionale o c’è altro? È possibile delegare una decisione a una macchina?
I numeri del documento
I dettagli non sono mai secondari nei documenti ufficiali della Santa Sede. Anzitutto, la scelta della data di pubblicazione, il 28 gennaio, memoria di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa, figura iconica della tradizione filosofica e teologica occidentale. Nella sua sintesi, che riprende la tradizione aristotelica, ragione (ratio) e intelletto (intellectus) non sono due dimensioni separate, ma complementari dell’intelligenza umana. L’essere umano è uno spirito incarnato strutturalmente aperto alla relazione. Altro dettaglio simbolicamente rilevante è che siano due i Dicasteri coinvolti: quello per la dottrina della fede e quello per la cultura e l’educazione. Già questo fa capire che la “Nota sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana” non è un documento secondario, ma chiama in causa la sapienza della Chiesa rispetto alla "rapida avanzata della digitalizzazione” (n. 112). Stiamo parlando di un testo sostanzioso, formato da 6 capitoli (il più consistente è il quinto, dedicato a questioni specifiche), distribuiti in 117 numeri e accompagnato da ben 215 note. In sintesi, si tratta di un chiaro segnale di attenzione della Chiesa alla rivoluzione digitale che sta entrando in modo sempre più consistente nella vita delle donne e degli uomini.
Antiche e nuove sfide
Il titolo della nota, “Antiqua et nova”, richiama quelle “cose nuove” (“Rerum novarum”) rispetto alle quali la Chiesa non rimane indifferente. Come nel lontano 1891 veniva analizzata la questione sociale, in particolare la questione operaia, in tutte le sue implicazioni, all’indomani della rivoluzione industriale, oggi il documento vaticano propone una riflessione etica e antropologica sugli effetti della cosiddetta “rivoluzione digitale”. Se all’epoca uno dei riferimenti ambientali era il "fabbricato” (la fabbrica), oggi, in “Antiqua et nova”, sono gli “artefatti” generati dall’intelligenza artificiale (Ia). Ogni aspetto del creato può essere potenzialmente utilizzato e manipolato dagli algoritmi con ripercussioni profondissime nella vita di ogni essere umano, perché stiamo parlando di "testi o immagini che risultano indistinguibili dalle composizioni umane, quindi suscitando preoccupazione per il suo possibile influsso sulla crescente crisi di verità nel dibattito pubblico” (n. 3). Si faccia attenzione all’aggettivo “indistinguibili”. Se all’inizio, cioè appena tre anni fa, tra gli addetti ai lavori circolavano vari “meme” sulla stupidità surreale delle immagini e dei video realizzate tramite l’Ia, oggi risulta molto più difficile distinguere la composizione umana da quella artificiale e questo comporta notevoli rischi. Ma qual è la differenza tra intelligenza umana e intelligenza artificiale?
Comprensione integrale dell’intelligenza umana
La Nota dedica ampio spazio a ricostruire il concetto di intelligenza umana ripercorrendo la tradizione filosofica e teologica occidentale, proponendo una comprensione integrale dell’essere umano, quale essere spirituale, cognitivo, incarnato e relazionale, aperto alla dimensione della trascendenza: “Una corretta concezione dell’intelligenza umana, quindi, non può essere ridotta alla semplice acquisizione di fatti o alla capacità di eseguire certi compiti specifici; invece, essa implica l’apertura della persona alle domande ultime della vita e rispecchia un orientamento verso il Vero e il Buono” (n. 29). Ribadire l’estensione di significati che ha la parola intelligenza in riferimento all’essere umano, non riducibile alla funzione computazionale, è decisivo perché “anche se l’Ia elabora e simula alcune espressioni dell’intelligenza, essa rimane fondamentalmente confinata in un ambito logico-matematico, il quale le impone alcune limitazioni intrinseche. Mentre l’intelligenza umana continuamente si sviluppa in modo organico nel corso della crescita fisica e psicologica della persona ed è plasmata da una miriade di esperienze vissute nella corporeità, l’Ia manca della capacità di evolversi in questo senso” (n. 31).
Il nodo delle decisioni
Le macchine possono scegliere, ma alla fine spetta solo all’uomo decidere. Si potrebbe sintetizzare così il nodo etico della questione, che restituisce ulteriore dignità alla responsabilità dell’uomo: “Chi usa l’Ia per compiere un lavoro e ne segue i risultati crea un contesto nel quale egli è in ultima analisi responsabile del potere che ha delegato. Pertanto, nella misura in cui l’Ia può assistere gli esseri umani nel prendere decisioni, gli algoritmi che la guidano dovrebbero essere affidabili, sicuri, sufficientemente robusti da gestire le incongruenze, e trasparenti nel loro funzionamento per attenuare pregiudizi (bias) ed effetti collaterali indesiderati (n. 46). Come ogni nuova tecnologia, anche l’Ia presenta grandi opportunità, ma anche limiti e rischi (sei numeri sono dedicati al tema "L’Ia e la guerra”). “L’Ia dovrebbe essere utilizzata solo come uno strumento complementare all’intelligenza umana e non sostituire la sua ricchezza” (n. 112). L’uso del condizionale è d’obbligo, perché l’uomo rimane libero di coltivare o meno quella vera sapienza che viene da un cuore aperto all’azione dello Spirito, capace di un uso responsabile della razionalità e della tecnica.